Splendori di maiolica Tecnologia e società

Archeologia Viva n. 72 – novembre/dicembre 1998
pp. 50-61

di Graziella Berti e Sauro Gelichi

I decenni a cavallo fra XII e XIII secolo furono per il mondo medievale cristiano un momento di trasformazioni profonde spesso indotte dai contatti con il mondo musulmano e bizantino
Insieme al nuovo modo di far di conto consentito dai numeri arabi è l’acquisizione delle “rivoluzionarie” tecniche di produzione maiolica a darci la misura di quanto tutto andasse rapidamente cambiando

Nell’VIII sec. d. C. il Mediterraneo era oramai un grande lago privo di quell’unità politica ed economica che solo due secoli prima poteva vantare. I paesi del Nordafrica erano sotto il controllo di Baghdad (di lì a poco i musulmani avrebbero conquistato anche la penisola iberica), l’Italia era divisa tra Longobardi e Bizantini, la capitale dell’Impero, Costantinopoli, si trovava sempre più lontana e sempre meno presente nel gestire i propri interessi nelle terre che ancora controllava in Occidente.

Con la riduzione dei traffici mediterranei, cessarono anche le importazioni delle ceramiche da mensa, che fino al VII secolo, spesso insieme alle merci, erano giunte dall’Oriente come dal Nordafrica. Il frazionamento, anche politico, nel quale la Penisola era venuta a trovarsi, si rifletté nelle produzioni del vasellame: si accentuò il particolarismo produttivo, la circolazione dei manufatti si fece meno estesa, si generalizzò l’uso del legno. La figura del ceramista professionista, che viveva del suo esclusivo lavoro, divenne sempre più rara. Il quadro generale è quello di una produzione ridotta a pochi tipi funzionali, quasi esclusivamente da fuoco, spesso realizzati all’interno di cicli produttivi rivolti all’autoconsumo.

Con la seconda metà del X secolo il panorama cominciò ad arricchirsi di nuovi prodotti. Una notevole quantità di ceramiche, con superfici brillanti, rese impermeabili da rivestimenti vetrosi, ricche di colori, con disegni tracciati in bruno, in verde, in giallo, ma anche in toni ramati, quasi dorati (lustri metallici), fecero un’improvvisa apparizione in alcune città importanti, soprattutto dislocate in prossimità del mare.

I mercanti italiani che percorrevano le rotte marittime e frequentavano i paesi islamici occidentali, siciliani, nordafricani maghrebini, spagnoli, maiorchini, ma anche egiziani e mediorientali, non si lasciarono sfuggire l’occasione di acquistare e portare in patria queste merci, eseguite con tecniche sconosciute nelle loro terre. Tali ceramiche, provenienti da lontano, riscossero una grande fortuna, evocando ambiti culturali ricchi di storie esotiche e leggende; inoltre, la loro qualità era tale da farle ritenere idonee non solo ad arredare le mense o le case, ma anche per impieghi in architettura.
La storia delle “repubbliche marinare”, soprattutto Pisa e Genova-Savona, è ricca di fatti, narrati in documenti scritti e confermati dalle testimonianze materiali. Atti pubblici, cartulari notarili, libri portuali e altre fonti, lasciano percepire l’intensità dei viaggi e dei commerci, basilari per l’evoluzione economica, politica, sociale, di questi porti. Dal canto loro testi in arabo illustrano il quadro visto nell’ottica opposta.

L’antagonismo religioso, che faceva muovere imponenti eserciti in difesa della cristianità o dell’islamismo, non era che il movente di facciata per la conquista di punti cruciali, importanti per lo sviluppo di proficue attività commerciali. Gli stessi musulmani raggiunsero in più occasioni Genova, Pisa, Amalfi, a volte nel corso di terribili incursioni, altre per svolgere i propri commerci. […]