Sotto le stelle di Su Gologone Archeologia e cinema

Archeologia Viva n. 71 – settembre/ottobre 1998
pp. 82-87

di Piero Pruneti

Nel cuore della Barbagia si è rinnovato l’appuntamento con “Mediterraneo Passato e Futuro”: alla scoperta dei siti nuragici più esclusivi della Sardegna insieme a cinema di archeologia e dibattiti che quest’anno hanno avuto per tema la salvaguardia del patrimonio e del territorio

Dopo Orgosolo sono due ore di fuoristrada e poi un’altra a piedi sui calcari del Supramonte, in mezzo ai lecci secolari della foresta demaniale di Fontanabona, uno degli ultimi lembi del primordiale manto boschivo della Sardegna, capace di darci l’idea di quella che era la dimensione forestale dell’isola prima dei paurosi tagli ottocenteschi curati dai Piemontesi come in un’Amazzonia dell’epoca (per chi non l’ha letto, suggerisco in proposito Paese d’ombre, di Giuseppe Dessì) e prima dei continui incendi tuttora curati dagli stessi sardi. Alla fine, risalendo un ultimo rilievo, ci troviamo davanti il nuraghe Mereu, paurosamente costruito a filo di una rupe che guarda la gola di Su Gurropu (la più selvaggia e profonda della Sardegna), sospeso sul manto a perdita d’occhio della vegetazione, in parte crollato, ma sempre grandioso nella sua geometrica costruzione di massi dilavati, senza licheni, ancora taglienti sui bordi come fossero cavati di fresco dalle sottostanti bancate di roccia calcarea.

A un compagno di escursione sfugge un’esclamazione che esprime tutta la distanza che ci separa dai nuragici: «Come facevano a vivere così isolati! Ad arrivare fin qui!». Ma qui non doveva arrivare nessuno; all’epoca (si parla dell’età del Bronzo recente, XIV sec. a.C.) questo era il centro e non una periferia o avamposto di civiltà, o meglio era uno dei mille e mille “centri” di una civiltà capillarmente diffusa su tutto il territorio dell’isola, dalle coste ai più aspri dirupi dell’interno, quando la Sardegna esprimeva una delle culture più forti e originali del Mediterraneo.

La Barbagia attuale è una delle poche regioni europee – senz’altro l’unica per estensione e, logicamente, per caratteristiche – a conservare intatti questi lontani messaggi, da cui deriva anche la motivazione culturale di un festival – “Mediterraneo Passato Futuro” – che da tre anni viene organizzato a Su Gologone, ai piedi del Supramonte di Oliena, dalla Camera di Commercio di Nuoro.

Cinema di archeologia, ma non solo. L’ultima edizione, nel giugno scorso, si è aperta con un convegno, svoltosi nella sala incontri della Camera di Commercio, su “L’arte emigrata: dispersione all’estero del patrimonio culturale italiano”. Un tema scottante per la stessa Sardegna che ha popolato di bronzetti nuragici musei e collezioni private di mezzo mondo, quasi sempre esportati clandestinamente. Il discorso è partito dalle asportazioni naziste di reperti e capolavori italiani, in gran parte recuperate alla fine della guerra grazie all’impegno del mitico Rodolfo Siviero (ne ha parlato il ministro Mario Bondioli Osio, successore di Siviero nel ruolo di presidente della Commissione interministeriale per il recupero delle opere d’arte) per arrivare al presente dove l’Italia si distingue come uno dei paesi “produttori” del mercato clandestino: sconcerto ha creato l’intervento di Maria Auslia Fadda, in rappresentanza della Soprintendenza archeologica di Sassari e Nuoro, che ha mostrato il catalogo di una mostra (L’Arte dei popoli italici, Electa), dove compare una serie di splendidi bronzetti nuragici, spuntati come funghi all’estero e di cui non rimane traccia di uscita dal nostro paese.

Un secondo incontro, presso l’Hotel Su Gologone, è stato dedicato al “Futuro dell’archeologia nei parchi naturali” con l’intervento di Vincenzo Santoni, soprintendente ai beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano. Il dibattito è approdato – e data la collocazione geografica del convegno non poteva essere diversamente – alla spinosa questione del Parco del Gennargentu e del Golfo di Orosei, fortemente voluto dal Ministero per l’ambiente e dalla Regione Sardegna, ma al momento rifiutato dalla maggioranza dei comuni interessati. Lo scontro ha il sapore del “già visto”, con le popolazioni che hanno paura di essere spogliate dei propri diritti sul territorio, sobillate da chi è interessato all’assenza di un serie gestione delle risorse. A poco o nulla finora sono serviti i tanti esempi di parchi in Italia e all’estero che, oltre a garantire la conservazione del patrimonio culturale (l’ambiente inteso nella sua eccezione più ampia di natura e stratificazione storica), sono divenuti forti motori dell’economia locale e di sviluppo occupazionale. Per ora in Barbagia ha vinto il pregiudizio (“vogliono toglierci i pascoli”, “impedirci di raccogliere legna e funghi”…) di chi ha paura del cambiamento. Con pazienza si dovrà ricominciare da un’informazione adeguata di quello che si intende fare. […]