Siviero: il cacciatore di opere d’arte Nel tunnel della storia

Archeologia Viva n. 71 – settembre/ottobre 1998
pp. 38-51

di Massimo Becattini

L’avvento del nazismo e la seconda guerra mondiale portarono a una vera emorragia di reperti archeologici e capolavori d’arte
Nella difficile opera di recupero si distinsero Rodolfo Siviero al quale dobbiamo la restituzione di gran parte del patrimonio sottratto
Al mitico 007 dell’arte italiana Archeologia Viva dedica questo servizio speciale dove si ripercorrono le vicende che per i nostri beni culturali comportarono il rischio più alto dall’epoca delle spoliazioni napoleoniche

Gli spostamenti di opere d’arte in Italia, dal periodo di poco precedente la seconda guerra mondiale (1939-1945) alla fine del conflitto, trovano una ragione, oltre che nella necessità di protezione dagli attacchi aerei alleati, nel programma dello stato maggiore tedesco di arricchire i musei del Reich con capolavori requisiti nei paesi occupati o in qualche modo acquistati nei paesi amici. A questo scopo erano state istituite all’interno dell’esercito tedesco l’Einsatzstab Rosenberg e il Sicherheits Dienst, due organizzazioni preposte all’individuazione e al trasferimento delle opere. Per quanto riguarda l’Italia, paese dell’Asse e insieme terra custode di un enorme patrimonio, la politica tedesca si incentrò inizialmente sugli “acquisti”. Emblematica fu, in proposito, la vicenda del Discobolo Lancellotti.

La Commissione del governo tedesco per l’acquisto delle opere d’arte, presieduta dal principe Filippo d’Assia, giunse in Italia nella primavera del ‘37. La prima richiesta di Hitler fu, appunto, il Discobolo di proprietà del principe Lancellotti, notificato fin dal 1909 come opera di alto interesse nazionale, dunque non esportabile. La statua, considerata una copia romana dall’originale bronzeo di Mirone del V sec. a.C., era stata rinvenuta nel 1781 a Roma villa Palombara-Massimo all’Esquilino, quindi conservata in palazzo Massimo alle Colonne, poi in palazzo Lancellotti-Massimo ai Coronari.

Nonostante che il consiglio superiore delle scienze e delle arti avesse dato parere negativo all’espatrio, il 18 maggio del ‘38, «in vista del personale interessamento del cancelliere del Reich», l’allora ministro degli Esteri, conte Ciano, obbligò il ministro dell’Educazione, Bottai, a far partire immediatamente per la Germania il «Lanciatore del disco». Le cronache del tempo fissano il corrispettivo della transazione in 16 milioni di lire dell’epoca. Fu questo l’inizio della cessione ai tedeschi di molti capolavori. Di fatto, Mussolini e Ciano non sembrarono in grado di opporsi alle richieste del pressante potente alleato. […]