Operazione “Aquila imperiale” Futuro del passato

Archeologia Viva n. 69 – maggio/giugno 1998
pp. 78-79

di Roberto Bartoloni

In provincia di Roma la Guardia di Finanza ha colpito un’organizzazione di scavatori clandestini
Fra i reperti sequestrati un’ara sepolcrale recante un’iscrizione d’importanza straordinaria

All’estrema periferia di Roma, fra la via Prenestina e la Cadilina, in un moderno complesso edilizio ha sede il Centro repressione frodi della Guardia di Finanza. Articolato in vari servizi, il centro, che come recita la sua regione ha il compito di combattere qualsiasi tipo di frode ai danni dello Stato, annovera che l’Ufficio tutela patrimonio artistico e archeologico. Per chi scrive è stata una sorpresa. Infatti, mentre l’immagine e il ruolo del Nucleo tutela patrimonio artistico dei carabinieri ormai sono divenuti popolari, il gemello Ufficio della Guardia di Finanza non gode della stessa notorietà.
«E pensare – puntualizza con una punta di orgoglio il maggiore Teodoro Giovanni Risino, responsabile dell’Ufficio – che è proprio la Guardia di Finanza l’organismo preposto per eccellenza a contrastare qualsiasi violazione nei confronti del patrimonio nazionale! Quest’ultimo, per la sua stessa natura, è parte del demanio, e compito primario della Guardia di Finanza è appunto quello di tutelare le proprietà dello stato».

E una seconda sorpresa viene dallo scoprire l professionalità e la dotazione scientifica dei componenti dell’Ufficio tutela patrimonio artistico e archeologico, dall’ufficiale più alto in grado  fino all’ultimo finanziere. «I risultati non sono mai mancati», sottolinea il maggiore Risino, «ed è quel che conta: la loro pubblicizzazione è un aspetto tutto sommato secondario. certo, questa volta , l’operazione “Aquila imperiale” un po’ di notorietà la merita davvero!»

Parliamo dunque di questa “brillante” operazione che ha impegnato per mesi le forze competenti della Guardia di Finanza. Le indagini, condotte nella parte nordorientale della provincia di Roma, una delle zone archeologiche più ricche e a rischio d’Italia, hanno portato non solo al sequestro di oltre millecinquecento reperti, ma soprattutto – nell’obiettivo di smantellare la fiorente organizzazione degli scavi clandestini che opera nella zona – alla denuncia di undici persone, legate fra loro dalla catena scavatori-ricettatori-acquirenti. Parallelamente, è stata stroncata l’ennesima immissione di reperti falsi nel mercato clandestino: i ricettatori avevano commissionato a esperti falsari la realizzazione di numerosi pezzi contraffatti che sarebbero stati mescolati poi ai reperti autentici all’atto del piazzamento della merce. […]