L’ipogeo di via Livenza Roma sotterranea

Archeologia Viva n. 69 – maggio/giugno 1998
pp. 32-37

di Carlo Pavia

Prosegue la “visita guidata” alle strutture dell’Urbe che sopravvivono sotto le case e le strade della metropoli moderna
Questa volta è l’architettura monumentale di un ninfeo con i suoi affreschi e mosaici a darci la sensazione di un improvviso salto nel passato

Non è proprio dentro Roma, il nostro ipogeo, ma neanche tanto lontano dalle mura aureliane. Siamo in via Livenza, una traversa di via Po, nel cuore dell’antico, e ormai quasi totalmente scomparso, sepolcreto salario (II-IV sec. d.C.). al momento dello scavo (anni 1922-23) l’ipogeo presentava una pianta simile a quella di un circo, con una superficie di m 21 x 7 e con accessi e vani laterali. In seguito il suggestivo complesso sotterraneo di via Livenza è stato tagliato dalle fondazioni degli edifici soprastanti e purtroppo oggi non è più percepibile nella sua interezza come quando fu scoperto: del vasto ambiente originario rimane solo la parte settentrionale al di sotto dell’attuale piano stradale. Fin dal momento della messa in luce all’ipogeo sono state attribuite funzioni diverse, quale tempio per culti misterici, battistero cristiano… per non parlare di altre interpretazioni ben più fantasiose. Ma l’esame delle strutture e, soprattutto, delle pitture porta alla conclusione che si tratti di un ninfeo legato alla presenza di una sorgente, costruito nella tarda età imperiale romana, ovvero nella seconda metà del IV secolo d.C.

L’ambiente si raggiunge per mezzo di una scala in gran parte ricostruita (solo le ultime due rampe sono originali). Le murature sono in opus vittatum (file di blocchetti di tufo intramezzati da laterizi) e si conservano per un’altezza di quasi otto metri. Guardando la facciata ci troviamo davanti tre archi; la scala d’accesso, con i gradini originali, è in quello a sinistra, mentre l’arco a destra conduce in un vano con una porta che farebbe pensare all’esistenza di ambienti retrostanti.

Il cuore dell’ipogeo è costituito dall’arco di mezzo e da una vasca rettangolare. Una transenna marmorea, in parte ricostruita, separava l’invaso dal resto del vano pavimentato da lastre di diversa misura. È tutto qui l’ambiente che stiamo visitando: piccolo ma, come vedremo, ricco di interessanti dettagli. Il resto dell’edificio, di cui fortunatamente ci è rimasta la pianta, si è già detto che è stato sventrato dagli edifici soprastanti. La nicchia centrale doveva accogliere una statua un po’ più bassa del vero, mai rinvenuta; l’intonaco interno è affrescato con un disegno a finto marmo numidico (giallo con venature di rosso pallido), mentre sulla calotta notiamo una fontana con uccelli: un bacino quadrato, un ricco e grosso vaso in mezzo al quale campeggia la canna da cui fuoriesce l’acqua; l’uccello di sinistra è fermo sull’orlo del vaso e volge la testa indietro mentre quello di destra si posa sull’orlo opposto e tende il collo verso l’acqua. Altri due volatili, forse colombe, sono a terra tappante fiorite. […]