Similaun: quell’uomo venuto dal ghiaccio Il ritorno di Otzi

Archeologia Viva n. 69 – maggio/giugno 1998
pp. 20-31

di Umberto Tecchiati

Al termine di lunghe e complesse analisi “cliniche” e degli interventi conservativi nonché – si spera – di tante sterili polemiche il corpo mummificato più antico che si conosca è ora esposto al Museo di Bolzano quale preziosa testimonianza della più antica presenza umana sulla catena alpina

Settembre 1991, giovedì 19. Una coppia di escursionisti germanici nota a 3210 metri di quota, presso il giogo di Tisa in alta Val Senales, sullo spartiacque alpino al confine tra Italia e Austria, un cadavere semisepolto dal ghiaccio. Gli studi successivi dimostreranno che quel cadavere è una mummia fredda, risalente, secondo le datazioni ottenute con il metodo del Carbonio 14, a più di cinquemila anni fa.

Sulle prime, la notizia di quella che può essere definita senza enfasi una delle scoperte più sensazionali della storia dell’archeologia, fa fatica a imporsi all’attenzione dell’opinione pubblica almeno quanto a quella degli studiosi. Finché i quotidiani non riportano in prima pagina le foto di alcuni oggetti rinvenuti insieme al cadavere. Tra tutti, un’ascia piatta di rame, assicurata per mezzo di legacci di cuoio a un’immanicatura lignea, colpisce l’attenzione degli esperti.

La foto pubblicata non è chiara, ma chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la tipologia di questi arnesi, comprende che il “contesto” non può essere più recente di quattromila anni: a Innsbruck, dove intanto è stato portato il corpo mummificato a causa di una errata valutazione della linea di confine (la mummia, si scoprirà si trovava per circa novanta metri in territorio italiano), il professor Konrad Spindler dell’Istituto di Preistoria e Protostoria della locale università conferma la datazione, destinata in seguito a essere ulteriormente spostata indietro. È ormai chiaro che siamo di fronte al più antico rinvenimento del genere.

Di scheletri più antichi nel mondo son pieni i magazzini dei musei. Ma quest’uomo ha la sua pelle addosso, i muscoli, gli organi interni, il cervello e tutto il resto, conservato per cinquanta secoli come in un perfetto freezer naturale. Ha un volto, quel volto che non riusciamo a ritagliare, per quanto ci sforziamo, sulle scheletriche superfici dei crani che escono dai nostri scavi… Cinquemila anni fa…

Accanto alla nozione dell’alta antichità del cadavere scoperto alla testata della valle di Tisa e all’enorme potenziale di informazioni biologiche e archeologiche contenute nel corpo stesso e nell’equipaggiamento che lo accompagnava, fu subito evidente agli studiosi che il compito prioritario di qualsiasi progetto di ricerca era la perfetta conservazione di quello speciale contesto. Si trattava, era chiaro, di riprodurre nell’asettica cella dell’Istituto di Anatomia dell’Università di Innsbruck quelle condizioni di freddo e umidità che avevano caratterizzato senza sbalzi rilevanti la permanenza di Otzi (questo è lo scherzoso diminutivo con il quale la mummia è nota in Austria, dal toponimo “Otztal”) nei ghiacci della val Senales. I glaciologi indicarono come queste condizioni potevano essere riprodotte a una temperatura di -6° e con una umidità del 98%.

Le modalità di conservazione avrebbero dovuto preservare la mummia dalla luce e da ogni altro elemento esterno in grado di interferire con la stabilità delle condizioni base della conservazione. Esse furono raggiunte dai medici dell’Università di Innsbruck conservando il corpo al buio, avvolto in teli sterili coperti di ghiaccio. periodicamente l’uomo del Similaun veniva estratto dal suo guscio di stoffa e ghiaccio per essere sottoposto alle più  svariate analisi mediche e radiologiche, al prelievo di campioni da sottoporre a studio. I risultati delle analisi, di cui parliamo in questo articolo, sono stati presentati a Bolzano in occasione del recentissimo convegno internazionale “L’Uomo venuto dal ghiaccio”. […]