Djebel Sikeit e del djebel Zabarah: le miniere di smeraldi dei faraoni Deserto orientale egiziano

Archeologia Viva n. 68 – marzo/aprile 1998
pp. 44-55

di Alfredo e Angelo Castiglioni

Nel deserto orientale egiziano ancora una volta con la spedizione Castiglioni-Negro per esplorare l’area mineraria più antica del mondo specializzata nella produzione della ricercatissima gemma

Lo smeraldo è stato probabilmente la pietra preziosa più ambita e apprezzata nell’antichità; il fascino del suo colore ha spinto gli uomini ad avventurarsi nelle regioni più inospitali. Scopo della nostra spedizione è riscoprire le antiche miniere di smeraldi del djebel Sikeit e del djebel Zabarah, riportandone una documentazione, soprattutto fotografica, che copra la lacuna lasciata da quanti, esploratori e geologi, ci hanno preceduti. Lasciamo Edfu, l’antica Apollinopolis, all’alba di una fredda giornata di dicembre, dirigendoci verso Hammamat, ora asfaltato, lungo l’itinerario percorso nel 1816 dal viaggiatore francese Frédéric Cailliaud. Dopo Marsa Alam, entriamo nel deserto e, con direzione sud-sudovest, puntiamo verso il djebel Nugrus (1505 m), seguendo gli uadi tra le montagne.

Avanziamo in caos di rocce annerite dal tempo, di sabbia cementata dal calore, tra radi cespugli spinosi, tra massi lavorati dagli sbalzi termici e dall’incessante azione eolica che li plasmano in incredibili forme. Nel terreno calcinato dal sole ci guidano le tracce di antiche cammelliere, scavate dal passaggio di migliaia di animali da soma. Sono curiosi questi sochi. fanno pensare alle scalinate di antichi santuari che generazioni di credenti hanno inciso, salendo e scendendo per infiniti pellegrinaggi. Sembra impossibile che queste labili tracce possano risalire a epoche remote, ai romani, ai tolomei, forse ancora più indietro nella scala dei secoli.

In alcuni punti la cammelliere è segnata da antichi cumuli di pietre a forma piramidale, gli alamat, posti su rilievi ben visibili da lontano: sono i cartelli indicatori che guidavano le carovane. A questo proposito, scriveva Cailliaud: «Una pila di sassi, sistemata come una piramide ed eretta sulla sommità di due monti, vicini a due carovaniere, serve a distinguerle… senza questa precauzione, dato che i torrenti cancellano le esili tracce lasciate dalle carovane, i viaggiatori potrebbero incontrare delle difficoltà nel passare attraverso queste montagne». E ancora: «Frequentemente osservavo delle gole che, a una certa distanza, sembravano percorribili, ma che, avvicinandomi, esultavano impraticabili». Anche noi ci troviamo sovente nell’identica situazione: una valle che, appena imboccata, sembra transitabile, termina bruscamente, ingombra di massi. Il più delle volte risulta percorribile solo uno stretto sentiero che si snoda tra le rocce fino a raggiungere la cima, per poi scendere ripidamente sull’altro versante: un percorso per animali da soma in fila indiana, certamente non adatto per i nostri mezzi meccanici sovraccarichi di carburante e di acqua. […]