Le tavole di Apollo Granno Da Delfi alle Gallie

Archeologia Viva n. 67 – gennaio/febbraio 1998
pp. 68-72

di Attilio Mastrocinque

Un vero enigma coinvolge da trent’anni gli studiosi che finora si sono confrontati con le quattro tavolette d’avorio ritrovate in un pozzo del villaggio francese di Grand
Ma prima di tutto occorre esaminare il ruolo di quello che fu uno dei più celebri santuari della Gallia e dell’intero impero romano

Le quattro tavole astrologiche di avorio, trovate circa trent’anni fa in fondo a un pozzo romano di Grand, villaggio francese dei Vosgi, costituiscono un enigma, da molti punti di vista, complesso. C’è da chiedersi, infatti, per quale motivo e come siano arrivati lì, verso la fine del I o agli inizi del II sec. d.C., questi due dittici preziosissimi, sapientemente concepiti da astrologi e artisti egiziani, dittici che trovano un buon confronto nello zodiaco di Dendara, nell’alto Egitto; e c’è da chiedersi anche perché sono stati distrutti, probabilmente nella seconda metà del II secolo, frantumati in circa duecento pezzi, e buttati nel pozzo. Per dare, non dico una risposta, ma almeno una traccia, prima di tutto bisogna vedere cos’era Grand in epoca romana.

Il moderno villaggio di Grand, un centinaio di chilometri a sud di Verdun, sorge su un terreno percorso da complesse grotte carsiche e cunicoli naturali. Poiché l’acqua che vi era convogliata dalle piogge non aveva un regime stabile, i Romani realizzarono condutture artificiali e cisterne, cosicché divenisse perenne la fonte che scaturiva all’altezza dell’attuale chiesa parrocchiale, creando una polla d’acqua che veniva nuovamente inghiottita dal suolo a pochi metri di distanza. Il prodigio di queste acque, sottratto dai Romani alla volubilità delle piogge, fece sorgere negli antichi abitanti del luogo, Galli e poi Gallo-romani, la convinzione che il fenomeno fosse determinato da un dio benefico, Grannus, identificato con Apollo guaritore, il cui nome è conservato dal toponimo Grand, allo stesso modo in cui lo conserva il nome di Aquisgrana: Aquae Granni, ‘le acque di Granno’. La medesima sorte ebbe il nome del dio apollineo Aponus, che dette il nome ad Abano (l’attuale Abano Terme in provincia di Padova). Granno era dunque un dio molto popolare in Gallia, dove condivideva con Beleno, o Apollo Beleno, la tutela delle acque purificatrici e salutari. Beleno, per altro, fu il dio principale di Aquileia.

Dal suolo di Grand sono emersi resti di statue ed elementi decorativi del tempio e dell’area sacra del dio, mentre le dediche ad Apollo Granno sono poche, ma sufficienti a identificare il nume tutelare del sito. Quest’ultimo fu monumentalizzato all’epoca dei Flavii, negli anni Settanta dopo Cristo. Più tardi, nei primi decenni del III secolo, alla generosità dei Severi furono dovuti restauri e ampliamenti, e forse anche la realizzazione del gigantesco mosaico della basilica, sita presso il tempio di Granno. Proprio in questo santuario giunse l’imperatore Caracalla, che fu generoso con il tempio, anche se da Granno, come da Asclepio e da Serapide, non era stato aiutato a guarire da un male fisico e psichico. Ciò dimostra la fama goduta dal dio gallo-romano e permette di capire perché a Grand, che adesso conta 540 abitanti, ci sono resti di un teatro che conteneva da 16.000 a 20.000 spettatori.

Prima di convertirsi e di credere al sogno che gli mostrava la croce del Cristo, Costantino fu un fedele di Apollo Granno, il quale gli era ugualmente apparso in sogno, insieme alla Vittoria, nel 309, promettendogli trent’anni d’impero. In seguito al declino del prestigio di Delfi, il maggiore santuario apollineo del mondo antico, e degli altri templi del dio profetico, messi in crisi dall’affermazione del cristianesimo, si era diffusa la convinzione (siamo intorno al 425) che Apollo, in fuga dalla Grecia, fosse venuto nel paese dei Leuci, i Galli dei Vosgi, per guarire i Celti e i Germani, o per ingannarli, secondo il punto di vista dei cristiani. Dopo la fine del paganesimo, si affermò la leggenda medievale – che ben potrebbe essere illustrata dal film di Bergmann La fontana della vergine – di santa Libera, la giovane vergine cristiana cui l’imperatore Giuliano l’Apostata (361-363) aveva ordinato di venerare una statua d’oro di Apollo, e che in nome della sua fede preferì subire il martirio; un terremoto abbatté allora le mura di Grand e fece scaturire una fonte, che guariva i malati. […]