Primi cristiani lungo la via Flaminia Itinerario umbro

Archeologia Viva n. 66 – novembre/dicembre 1997
pp. 56-67

di Ruggero Iorio

La grande arteria che collegava Roma all’Adriatico offrì alla nuova religione l’accesso ai territori interni dell’Umbria
Per questo si rivela di estremo interesse un percorso tematico sui monumenti del primo cristianesimo che si conservano sulla linea dell’antico asse viario

Con un percorso quasi del tutto interno la via Flaminia interessa l’intera Umbria costituendone, insieme al Tevere, un forte elemento unificante. Prende nome dal console Caio Flaminio e venne costruita nel 220-219 a.C. adattando preesistenti tracciati viari.

Tra questi alcuni erano molto antichi e probabilmente legati al fenomeno della transumanza e degli spostamenti delle popolazioni che sin dall’età del Ferro si stabilirono lungo il versante sinistro del Tevere. L’importante arteria venne concepita dai romani soprattutto come via strategica in direzione nord, verso la Gallia Cisalpina, con funzioni di collegamento tra Roma e l’Adriatico, e rimase a lungo la maggiore via di comunicazione tra il centro dell’impero e le regioni transalpine. Da Roma per Ocriculum (Otricoli), quindi attraverso l’intera Regio VI (grosso modo corrispondente alle attuali Umbria e parte settentrionale delle Marche), la strada raggiungeva (e raggiunge ancora oggi) la costa a Fanum Fortunae (Fano), Ariminum (Rimini), innestandosi infine alla via Emilia e alla rete viaria dell’Italia settentrionale.

In territorio umbro il percorso più antico è quello occidentale, denominato Flaminia vetus: da Narnia (Narni) per Carsulae, Vicus Martis Tudertinum (Massa Martana), Mevania (Bevagna) e Forum Flaminii (Foligno). In età tardoimperiale al tratto NarniaForum Flaminii, venne preferito il tracciato orientale della Flaminia nova, che transitava da Interamna (Terni) e Spoletium (Spoleto). Lo slittamento della viabilità a vantaggio della Flaminia nova è testimoniato dall’Itinerario Burdigalense del IV sec. d.C. che non menziona affatto il percorso occidentale.

Ciò, con ogni probabilità, fu una conseguenza della riforma dioclezianea che promosse una nuova lettura dei territori dell’Italia centrale ed ebbe non poche influenze sul riassetto topografico viario: abbiamo già visto che, nella divisione augustea della Penisola, la Flaminia attraversava per quasi tutto il suo percorso la Regio VI, mentre sotto Diocleziano la fusione di Tuscia e Umbria in un’unica entità territoriale portò allo spostamento di buona parte dell’area orientale dell’Umbria alla nuova Regio Flaminia et Picenum.

La Flaminia vetus, ossia il tracciato occidentale corrispondente a quello originario, nata certamente come strada militare, per tutta l’epoca tardorepubblicana conservò una percorribilità piuttosto agevole, con funzioni economiche e di scambio, incrociandosi con la fitta rete stradale secondaria che serviva i centri agricoli delle zone pianeggianti e gli oppida (centri fortificati) periferici quasi sempre collocati sulle alture.

A partire dal II sec. d.C. la via Flaminia diventa strumento quasi unico di trasmissione del messaggio cristiano in Umbria, essendo la regione priva di sbocchi sul mare. Le testimonianze archeologiche paleocristiane, disseminate un po’ ovunque, ne costituiscono una prova inconfutabile. Sull’asse occidentale (Flaminia vetus) a pochi chilometri a nord di Carsulae, nei pressi del Vicus Martis Tudertinum, si trova il cimitero di Villa S. Faustino di Massa Martana. Lungo il percorso della Flamina nova, invece, sopravvivono i maggiori monumenti paleocristiani dell’Umbria, concentrati quasi tutti nei pressi di Spoleto, quali la basilica di S. Salvatore, l’area cimiteriale di S. Ponziano e il noto tempio sul Clitunno. […]