La Palestina ricomincia da Gerico Nella città più antica del mondo

Archeologia Viva n. 66 – novembre/dicembre 1997
pp. 36-54

di Nicolò Marchetti e Lorenzo Nigro

A quarant’anni dalla fine dell’ultima spedizione archeologica l’antica città di Gerico vive una nuova stagione di scavi a opera di una missione congiunta del Dipartimento delle Antichità di Palestina e dell’Università di Roma “La Sapienza”
I risultati della prima campagna nella relazione degli stessi direttori italiani delle ricerche

Situata sul margine rialzato occidentale della Valle del Giordano, a soli otto chilometri dalla sponda settentrionale del Mar Morto, l’oasi di Gerico ha rappresentato uno degli ecosistemi più favorevoli del Vicino Oriente per lo sviluppo della prima società agricola, per via del fiume sotterraneo che, dopo avere raccolto le acque della falda rocciosa delle montagne del Deserto di Giuda, vede la luce ai piedi della falesa calcarea dominata dal Monte delle Tentazioni.

In questa favorevolissima nicchia ecologica, dove la regolarità della sorgente consente un facile approvvigionamento idrico anche nelle stagioni calde e allo stesso tempo favorisce la crescita spontanea di numerose specie di piante, alberi da frutto e cereali selvatici, già alla fine dell’Epipaleolitico (Mesolitico) o Natufiano (9500-8500 a.C.) gruppi di cacciatori e raccoglitori impiantano campi stagionali, di cui sono state rinvenute tracce rappresentate da piccole capanne circolari, con piano di calpestìo infossato e una significativa attestazione di reperti litici: in particolare sono indicative del livello tecnologico di questa fase storica le piccole lame di selce inserite in ossa animali lavorate per ottenere strumenti da taglio o lavorazione.
Nel corso del X e IX millennio la frequentazione dell’area subito a ridosso della sorgente si trasforma gradualmente da occupazione stagionale in stabile da parte di gruppi che riescono a sfruttare sempre meglio le risorse differenziate, e complementari, offerte dall’oasi e dal territorio semidesertico circostante, dove vivono animali selvatici, come le gazzelle, che costituiscono una fonte primaria di sostentamento.

Il costume funerario di questi primi frequentatori dell’oasi è documentato da una serie di deposizioni con i cadaveri raccolti di diversi individui, tutti acefali, dal momento che le teste tagliate erano sepolte in apposite fosse al di sotto della pavimentazione delle capanne. Questa tradizione è, probabilmente, da considerare la prima traccia dell’utilizzo del cranio come elemento identificativo del gruppo sociale, sia in vita (attraverso pratiche che prevedevano la deformazione di questo nei neonati secondo particolari schemi distintivi), sia post mortem con la raccolta e sepoltura rituale.

Nella seconda metà del IX millennio a.C. l’oasi di Gerico assiste a due fondamentali trasformazioni della comunità che vi si è insediata. La prima è quella che vede i frequentatori stagionali della terrazza calcarea che sovrasta la sorgente trasformarsi in residenti stabili; la seconda è rappresentata dal fatto che l’agricoltura diviene un’importante fonte di sostentamento della comunità. Siamo nella prima fase del periodo Neolitico, più esattamente nel Neolitico Preceramico A (8500-7500 a.C.), quando ancora non sono in uso suppellettili e vasi in ceramica. Ora Gerico è il luogo dove ha inizio quella complessa trasformazione storica definita “rivoluzione neolitica”, grazie alla quale l’uomo diviene capace di provvedere autonomamente alla produzione di cibo.

L’insediamento assume in quest’epoca un carattere stabile, al punto da essere munito di una possente cinta di fortificazione in pietra (fino a un’altezza accertata di 5,75 m), e raggiunge l’estensione di ben tre ettari. La presenza della cinta fortificata e la grandezza dell’abitato neolitico – oltre a testimoniare un grado notevole di complessità sociale, assai precoce rispetto ad altri siti contemporanei – sono alla base della fama universale di Gerico come “città più antica del mondo”. Elementi che contribuiscono a un così forte sviluppo insediamentale ed economico debbono essere, oltre alle già citate opportunità offerte dalla sorgente e dalla fertile area coltivabile dell’oasi, anche la disponibilità di importanti materie prime estratte sulle vicine rive del Mar Morto, vale a dire il sale e il bitume, che erano scambiati con conchiglie, turchese e ossidiana.

Il controllo e il commercio di queste materie prime sono parte integrante dell’economia di Gerico neolitica, insieme alla coltivazione incipiente di molteplici specie di cereali selvatici. Allo stesso tempo inizia il processo di allevamento di alcune specie animali, in particolare di caprini, ovini e bovini fino ad allora lasciati allo stato brado, senza tuttavia rinunciare alla caccia, avvantaggiata dalla consistente presenza di gazzelle nella valle del Giordano.

Nella fase che a Gerico segna la massima fioritura del Neolitico Preceramico A (8500-7500 a.C.), la linea di fortificazione dell’insediamento viene rinforzata, all’esterno, con l’aggiunta di un fossato (largo 9 e profondo più di 2 m) e, all’interno, con un torrione in pietra (alto quasi 8 m e largo altrettanto): è un’opera monumentale, certamente frutto della collaborazione di più gruppi familiari, che testimonia un precocissimo sviluppo di organizzazioni sociali di controllo e distribuzione delle mansioni. Varie ricostruzioni testimoniano l’intensa attività edilizia di questo periodo in cui Gerico attraversa una delle sue fasi di massima fioritura, per molti aspetti anticipando quelle che nell’area della Mezzaluna Fertile saranno, circa due millenni dopo, le conquiste del Neolitico pieno. Attorno al 7500 a.C. il sistema conosce tuttavia una repentina crisi e il sito viene abbandonato per un certo lasso di tempo. […]