Speranza e sofferenza oltre la medicina Scienze per l'archeologia/Paleopatologia

Archeologia Viva n. 65 – settembre/ottobre 1997
pp. 82-86

di Gaspare Baggieri

Presso i santuari venivano depositati (la pratica è in uso ancora oggi) gli ex voto anatomici di chi voleva ringraziare o impetrare la sanatio dalle divinità guaritrici
Ora questi votivi costituiscono una straordinaria documentazione sulla cultura i comportamenti popolari e le conoscenze mediche nel mondo antico

Lo studio degli ex voto anatomici da parte di storici della medicina ha comportato in passato una attenzione tipicamente morbosa per la lettura medica che se ne traeva. Così è abbastanza facile leggere descrizioni di queste offerte con minuzie di riferimenti anatomici, significati e interpretazioni patologiche, a cui molto spesso sembra invece corrispondere una licenza artistica del coroplasta, nel caso degli ex voto in terrecotte, o una difettosa esecuzione nell’atto della fusione, come in alcuni bronzetti.

La recente esposizione (a cura del Servizio tecnico ricerche antropologiche e paleopatologiche del Ministero per i Beni culturali) di circa 230 ex voto anatomici umani, con reperti provenienti da Toscana, Lazio e Campania riferibili a esiti di malattie, prima in una mostra a Roma dal titolo “Speranza e sofferenza nei votivi anatomici dell’antichità”, e in una successiva a Trieste intitolata “Donaria”, ha permesso per la prima volta agli studiosi, in particolare medici, archeologici e antropologi, di avere un quadro complessivo ed esauriente sull’argomento.

Questo tipo di materiali archeologici appartenenti alle culture religiose pagane si afferma nell’Italia centrale tirrenica, in area prevalentemente etrusco-laziale. Dal V al II sec. a.C. si assiste a una grande fioritura di santuari dedicati a divinità medico-salutari o a divinità “maggiori” dalle molteplici prerogative (Diana, Minerva, Giunone, Apollo, Ercole…) alle quali si attribuivano anche proprietà taumaturgiche o si richiedevano intercessioni e grazie. Da qui la consuetudine di offrire al dio oggetti di vario genere e natura in cambio della sua protezione o come ringraziamento di un favore ricevuto.

La maggior parte di questi reperti è di fattura dozzinale: ciò è dovuto sia alla committenza, che mediamente apparteneva a strati sociali non elevati, sia alla produzione artigianale degli ex voto che probabilmente si effettuava nei pressi dei santuari.

Le offerte votive potevano consistere in monete o vasellame, tessuti o gioielli, generi alimentari o animali. Tutti questi doni, fatta eccezione per quelli deperibili e per le bestie destinate per lo più ai sacrifici, una volta depositati nel santuario divenivano sacri e intoccabili, in quanto proprietà del dio. Per tale motivo, periodicamente, di fronte alla necessità di fare spazio a nuove offerte si procedeva allo sgombero del tempio: gli oggetti che erano lì da più tempo venivano rimossi e depositati in stipi votive o in grotte e infratti già esistenti in prossimità del santuario (come nel caso di quello di Fontanile di Legnisina di Vulci, costruito a ridosso di una cavità naturale e scoperto negli anni Ottanta), oppure in fosse appositamente ricavate all’interno dell’area sacra. Gli scavi di questi depositi hanno portato in luce un’enorme quantità di votivi anatomici in terracotta, eseguiti quasi esclusivamente a stampo, segno di una particolare produzione molto sviluppata e fiorente, strettamente collegata all’attività del santuario. […]