Cannoni francesi nel mare di Sciacca Sensazionale scoperta nella Sicilia sudoccidentale

Archeologia Viva n. 64 – luglio/agosto 1997
pp. 36-45

di Gianfranco Purpura

Dai fondali sabbiosi antistanti la città sono affiorati i resti di una nave da guerra francese che nel XVI secolo naufragò in seguito a un scontro armato
Il fatto ebbe per sfondo storico la politica di controllo del basso Tirreno

La vicenda del rinvenimento dei resti di una grande nave da guerra, naufragata a circa ottanta metri dalla riva in soli cinque metri d’acqua, a Sciacca, nella zona di Coda di Volpe, ha inizio con una segnalazione pervenuta nel 1992 alla Soprintendenza archeologica di Agrigento da parte del Circolo subacqueo Hippocampus, seguita dall’isolato recupero di due cannoni di bronzo. A quella data, ancora, non ci si era resi conto dell’esistenza di un giacimento unitario, ma si pensava a singoli reperti gettati in mare da un’imbarcazione in transito o, addirittura, dalla terraferma, dall’alto dell’incombente capo delle Terme.

D’altronde, la zona in passato era stata coinvolta in numerose vicende belliche e marine. Basti pensare che l’alta rupe bianca di Cammordino, adiacente alla cittadina e prospiciente l’area del nostro relitto, era stata forata nel 1615 da un tal Giovan Battista Giustiniano, di origini genovesi, per il transito delle sue pecore; mentre alcuni ambienti scavati nel tenero calcare alla base dell’altura non solo avevano assolto alla funzione di antiche tombe o di ricoveri per pastori, ma addirittura, durante l’ultimo conflitto, erano stati utilizzati come rifugi antiaerei. Né la frequentazione del sito risulta attestata solo per l’età moderna: in seguito a una ricognizione in mare, effettuata nel 1973 dall’équipe di Nino Lamboglia (Lamboglia è stato l’archeologo che per primo si è dedicato metodicamente alle ricerche subacquee in Italia), fu recuperato un ceppo d’ancora in piombo (successivamente portato al Museo navale di Albenga) appartenente a un’imbarcazione romana il cui relitto era testimoniato da frammenti di anfore e resti lignei di uno scafo.

Nel maggio dello scorso anno il rinvenimento di altri due cannoni indicava con certezza che nella zona c’era qualcosa di più importante di singoli reperti sporadici conseguenti all’intensa frequentazione del luogo. Il giacimento archeologico, racchiuso in un canalone sabbioso parallelo alla costa, comprende un’area oblunga di un centinaio di metri. Ciò lascia presumere l’esistenza di uno scafo che, andando alla deriva, si è poggiato sull’emergenza rocciosa rivolta verso il mare aperto e ha rovesciato all’interno del canalone, verso la spiaggia, il carico che ora si rinviene caoticamente frammentato.

Affusti di cannoni in bronzo lunghi più di tre metri, tortili come colonne, vistosamente dorati e decorati con stemmi e iscrizioni, appaiono frammisti a palle di cannone di vario calibro, in ferro, pietra e piombo. Non mancano pallottole per moschetti o archibugi e cunei utilizzati per bloccare i mascoli (contenitori mobili delle cariche) delle petriere (piccoli affusti su forcella facilmente brandeggiabili). In due diversi siti del fondale, distanti tra loro una trentina di metri, si evidenziano parti dello scafo che il mare ha dissabbiato. Il tratto più ampio, di circa sei metri, si dirige, con andamento parallelo alla linea di costa verso l’altro, lungo circa tre metri, ma non è sicuro il collegamento tra loro.

In un punto del fondale un gran numero di concrezioni ferrose, inglobanti chiodi, anelli e qualche attrezzo, lascia supporre una cassetta da carpentiere, ormai disgregatasi. L’ipotesi è suffragata dalla coesistenza di reperti, come chiodi, anelli di portelloni di boccaporti o di cannoni, che non recano traccia d’uso, con reperti già utilizzati, in alcuni casi schiacciati da un colpo di maglio. Un altro indizio della presenza a bordo di un carpentiere è costituito da un grande rotolo di lamina di piombo, utilizzata per foderare la carena dello scafo. Frammenti di altre lamine sempre di piombo, già applicate allo scafo e recanti traccia dei fori per i chiodi di fissaggio, son presenti sul fondale e indicano con chiarezza il duro trattamento al quale è stato sottoposto il legname dell’imbarcazione. Evidentemente il grande rotolo non utilizzato (avvolto insieme a un sacco, del quale, oltre a qualche filamento, resta visibile la trama impressa nel piombo) faceva parte delle dotazioni di riserva fornite dall’arsenale alla nave in partenza. Finora non sono state rinvenute àncore o catene, che probabilmente furono recuperate dalla spiaggia grazie alla loro visibilità sul basso fondo sabbioso e alla vicinanza della riva.

Per quanto riguarda l’equipaggio, in casi del genere i corpi delle vittime, respinti dal mare, venivano sepolti lungo il litorale adiacente il sito del naufragio. Un’indagine in terra nella zona del relitto potrebbe rivelare tali sepolture, come nel caso del relitto del “San Pedro de Alcantara” (1786) in Portogallo, dove sono state scavate le tombe di alcuni di essi in terraferma. Sul fondale marino di Sciacca, al momento, sotto uno dei cannoni sono state osservate delle ossa: uno appartenente a un animale di grande taglia (forse un bue), un dente di capra o montone e una costola, forse di un uomo. […]