Antichi pazienti… in neurochirurgia Scienze per l'archeologia/Paleopatologia

Archeologia Viva n. 63 – maggio/giugno 1997
pp. 76-79

di Gaspare Baggieri

Le prime indagini sul ritrovamento di due crani etruschi trapanati ampliano le nostre conoscenze sugli interventi chirurgici praticati nell’antichità

Scoperti nei depositi archeologi di Tuscania e Tarquinia, due reperti cranici etruschi di VI e IV sec. a.C., in corso di osservazione presso lo Strap-Servizio tecnico ricerche antropologiche e paleopatologiche (Ministero per i Beni culturali), stanno offrendo informazioni utili per dimostrare una possibile pratica neurochirurgica, in uso nell’area vulcente, da parte di antichi medici esperti. Per meglio comprendere i due reperti ci si è avvalsi di un’eccellente lavoro di Franco Germanà e Gino Fornaciari (Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia, Giardini Editori, 1992) in cui sono riassunte le caratteristiche principali dei crani trapanati rinvenuti in Italia.

Il primo reperto, proviene dalla necropoli dell’Osteria, nei pressi di Vulci, da una tomba a dado scavata nel 1986 dalla Soprintendenza archeologica dell’Etruria meridionale sotto la direzione di Anna Maria Moretti. La tomba, al momento dello scavo già pesantemente manomessa, è databile alla seconda metà del VI sec. a.C., in base ai pochi materiali di corredo rinvenuti.

Al suo interno giaceva, sul letto di sinistra, un individuo di sesso maschile, morto tra i venticinque e i trentacinque anni, il cui cranio, sull’osso parietale destro, poco al di sopra della stessa bozza parietale, presenta una lesione di continuo, cioè un foro, di forma grossolanamente ellittica, i cui margini sono obliqui, non erti, e presentano piccole spicole ossee riparative.

All’esame radiografico, la lesione appare circondata da un bordo sclerotico. Essa è da interpretarsi come una trapanazione effettuata sul vivente tramite la tecnica del raschiamento, cioè con l’uso di uno strumento a superficie piatta abradente, impiegato con movimento rotatorio e direzionale sulla superficie da raschiare, scarificando (incidendo) l’osso sino alla perforazione totale. Tale trapanazione fu seguita da una sopravvivenza piuttosto prolungata (almeno un anno) dell’individuo sottoposto all’intervento.

Il secondo cranio, datato al IV sec. a.C., donato dalla famiglia Barucci di Tarquinia, è stato acquisito di recente dalla Soprintendenza per l’Etruria meridionale, assieme al pregiato sarcofago che lo conteneva. Si tratta, a un primo esame, di un cranio in discrete condizioni di conservazione, anche se privo dell’osso temporale destro, appartenente a un individuo di sesso maschile, di età compresa tra i trenta e i quarant’anni. Dell’originaria sepoltura, solamente il cranio con la mandibola è pervenuto al nostro studio, mentre non si hanno tracce del resto delle ossa.

Il reperto presenta una lesione alta, sul parietale di destra, a ridosso della sutura sagittale, in prossimità dell’osso occipitale, il cui foro, di forma quadrangolare, presenta margini a superficie obliqua e bordi leggermente arrotondati, con evidente reazione ossea. All’esame radiografico, sul bordo del foro si visualizza un accenno sclerotizzante riparativo, il che attesta che il “paziente” non sarebbe sopravvissuto oltre due mesi. La lesione quadrangolare fa supporre un utilizzo di tecnica mista (trapanazione a mezzo bulinaggio e scarificazione) con possibile recupero della rondella cranica. […]