Angkor: paradiso perduto Sudest asiatico

Archeologia Viva n. 63 – maggio/giugno 1997
pp. 34-47

di Riccardo Merlo

Quelle che oggi sono grandiose rovine assalite dal caos della foresta formavano un complesso urbano e rurale perfettamente ordinato che riproduceva la geometrica armonia dell’universo

Giungendo in aereo su Angkor è ben riconoscibile una scacchiera di canali interrati, di strade e corsi d’acqua scomparsi. Le tracce si identificano intorno a tutti gli antichi centri khmer: sono i resti delle grandi opere di regimentazione delle acque che dall’800 al 1400 della nostra era furono realizzate per sfruttare le straordinarie potenzialità produttive di questa terra. Solo l’osservazione dal cielo ci consente di collocare nella giusta dimensione territoriale gli imponenti monumenti dell’antica capitale, sparsi per chilometri senza regole apparenti tra campi riarsi e boscaglie.

Il territorio della Cambogia ha la conformazione di un grande invaso pianeggiante, circondato da modeste montagne lungo i confini, drenato dal corso del Mekong, che, prima di gettarsi nel mare della Cina, in Vietnam, durante i mesi di piena alimenta una depressione centrale colmata da un lago enorme e pescosissimo, il Tonle Sap. Il clima è caratterizzato da otto mesi di siccità, durante i quali i campi si inaridiscono, e da quattro mesi piovosi, dominati dal monsone di sudest, quando le piogge consentono di allagare i terreni per la coltivazione del riso. La vita economica si basava, e in gran parte si basa tuttora, sull’agricoltura: si coltivava il riso, la segala e il miglio. Altre attività economiche erano la pesca nei laghi, la caccia nelle foreste e la produzione del sale. È certo, inoltre, che il trovarsi in un punto nodale dei commerci tra la costa orientale dell’India e la Cina costituisse un fattore determinante per lo sviluppo economico e culturale di questo antico stato asiatico.

A partire dal I secolo il territorio cambogiano fu sottoposto a un processo di profonda indianizzazione, che dette luogo alla trasformazione delle tradizioni locali nei regni del Fun-an, successivamente del Chen-la, da cui a partire dal IX secolo ebbe origine il regno Khmer, caratterizzato dal culto buddista Mahayana e dall’induismo.
Si costituì quindi una casta di sacerdoti esperti non solo di teologia ma anche di matematica, geometria, agronomia e architettura, che quindi furono in grado di dare ai territori un efficiente impianto agrario e di regimentazione delle acque per far fronte al problema della siccità. Poiché la risaia ha bisogno permanentemente di acqua abbondante che deve essere rinnovata in continuazione, si crearono ampi bacini (baray), che permisero la raccolta delle acque in eccedenza durante il concentrato periodo delle piogge e la loro regolare distribuzione nel corso dei molti mesi aridi. Gli invasi, delimitati da terrapieni a un livello più elevato della pianura circostante, raccoglievano le acque dei fiumi in piena e le ridistribuivano gradualmente, per gravità, attraverso un complesso sistema di canali, canalette e chiuse per consentire la continuità delle coltivazioni. I campi di riso così irrigati producevano in dodici mesi tre o quattro raccolti; un risultato di grande rilievo se si pensa che oggi di raccolti la Cambogia ne produce solo uno. […]