Ma cos’è un bene culturale? Archeologia e diritto

Archeologia Viva n. 61 – gennaio/febbraio 1997
p. 81

di Stefano Benini

La definizione di bene culturale risponde alla sensibilità dei tempi: da questo concetto dovrebbero dipendere il respiro e la lungimiranza delle leggi

La materia dei beni culturali è ancora regolata, nelle linee fondamentali, dalla legge 1089 del 1939 e dal regolamento 363 del 1913. La legge impiega la terminologia tradizionale delle «cose d’interesse artistico e storico», perché la denominazione moderna “beni culturali” ha fatto la sua comparsa nelle ratifiche di documenti internazionali, come la Convenzione dell’Aia del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato e la Convenzione di Parigi del 1970 sulla lotta alle illegittime esportazioni. Il termine “bene culturale” fu impiegato dalla Commissione Franceschini, costituita nel 1964 con il compito di indagare sulle condizioni di tutela e sulle esigenze in ordine alla valorizzazione delle cose d’interesse artistico, storico, archeologico e della tutela del paesaggio. La Commissione dette del bene culturale una definizione riassuntiva come «testimonianza materiale di civiltà».

Alla base della legge del 1939, cosiddetta legge Bottai dal nome del ministro proponente, vi è una concezione estetizzante, venata da un generico populismo fascista. I beni tutelati possiedono gli attributi di «pregio e rarità», come la coeva legge 1497 sul paesaggio tutela le bellezze naturali nella misura in cui costituiscano quadri «di non comune bellezza». In proposito è interessante ricordare un passo della relazione al disegno di legge del ministro Benedetto Croce del 1920, sfociato poi nella legge 778 del 1922, per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico, che costituisce il diretto precedente della legge del 1939 a tutt’oggi vigente.

Nella definizione crociana la qualificazione estetica è preponderante: «Certo il sentimento tutto moderno che s’impadronisce di noi allo spettacolo di acque precipitanti nell’abisso, di cime nevose, di foreste secolari, di belle riviere, ha la medesima origine del godimento di un quadro dagli armonici colori, all’audizione di una melodia ispirata, alla lettura di un libro fiorito di immagini e di pensieri. E se dalla civiltà moderna si sentì il bisogno di difendere, per il bene di tutti, il quadro, la musica, il libro, non si comprende perché si sia tardato tanto ad impedire che siano distrutte o manomesse le bellezze della natura, che danno all’uomo entusiasmi spirituali così puri e sono in realtà ispiratrici di opere eccelse». […]