Archeologia dallo spazio Scienze per l'archeologia

Archeologia Viva n. 61 – gennaio/febbraio 1997
pp. 74-77

di Giuliano Benelli, Claudia Binazzi e Giuseppe Pelosi

Nati e sviluppatisi per scopi bellici i sistemi radar rivelano sempre maggiori possibilità di impiego nei settori civili della ricerca scientifica
In campo archeologico per esempio…

Fino a circa vent’anni fa tutte le indagini archeologiche erano effettuate quasi esclusivamente facendo ricorso a scavi, con campagne lunghe, costose e, nella maggior parte dei siti, limitate da condizionamenti climatici. Quanto ai reperti, una volta riportati in luce, rimangono comunque vittime delle intemperie, dell’ossidazione, del vandalismo. Per questi motivi sono state introdotte e ottimizzate tecniche d’indagine innovative da utilizzare insieme o, in alcuni casi, in alternativa alle tecniche tradizionali. Le nuove tecniche, di tipo non invasivo, consentono di ridurre i costi e massimizzare l’efficienza delle ricerche con la possibilità di ottenere le cosiddette “mappe di rischio archeologico”, indispensabili per evitare interventi anche involontariamente deleteri.

Varie tecniche, appunto di tipo non invasivo, vengono utilizzate attivamente per l’identificazione e la tutela di siti e reperti archeologici interrati. Fra queste, per le prospettive che potenzialmente offrono, meritano particolare menzione le tecniche radar.
I radar sono sensori di tipo attivo, in quanto trasmettono un segnale elettromagnetico e misurano l’eco retrodiffusa dalla porzione di suolo da essi illuminata (i sensori di tipo passivo misurano invece un segnale spontaneamente emesso da un generico bersaglio). È poi possibile distinguere i sensori che operano a terra, i cosiddetti sensori locali o in situ, che garantiscono una misura molto accurata ma di tipo puntuale, da quelli montati a bordo di aerei o satelliti, i cosiddetti “sensori remoti”, che riescono a investigare rapidamente aree vastissime a spese di una minore accuratezza. […]