Il potere e la prassi Opinioni

Archeologia Viva n. 60 – novembre/dicembre 1996
p. 88-89

di Baldassarre Conticello

Dialogo possibile fra un ministro e il suo usciere sul governo dei beni culturali

Cera una volta un giovane politico, d’un Partito che non aveva mai governato direttamente il Paese di Bengodi, e che aveva un grande interesse per il mondo della cultura, del quale partecipava attivamente; un settore in cui il suo Partito esercitava, da sempre, un’assoluta egemonia, dato che i governanti, convinti che carmina non dant panem, al momento della scelta avevano preferito le banche e… l’edilizia. Un giorno, un cataclisma travolse il vecchio ordine, e il giovane politico e i suoi amici passarono dal sottogoverno della cultura, al governo del Paese. Il nostro, avrebbe potuto aspirare a dirigere un ministero molto importante, strategico, per la posizione ch’egli occupava, ormai, nel Partito e nel­l’alleanza di governo; e infatti un incarico di rilievo gli fu attribuito. Ma egli volle per sé, e l’ottenne, il ministero che, in qualche modo, presiedeva alla Cultura, perché voleva, ora ch’entrava nella stanza dei bottoni, realizzare le idee, i sogni, i progetti, per tanti anni coltivati.

Una mattina di maggio, il giovane politico ascese le scale del bel Palazzo di Bartolomeo Ammannati, ov’era stato il Collegio Romano dei Gesuiti, i quali, per secoli, v’avevano allevato i figli dei potenti (funzione cui ancora assolve, mutatis mutandis, il Liceo statale “E.Q. Visconti”, succedutogli in un lato dell’edificio), ed entrò nello Studio del ministro, nel suo studio, che alcuni gradini elevavano sull’austero corridoio del secondo piano.

Non appena fu solo, si sedette, e prese a cercare, sul tavolo, il bottone del potere, ma non sapeva come riconoscerlo. Trovò un pulsante e lo premette; tanto per vedere cosa succedesse. Passarono alcuni minuti, e nulla. Poi, a un tratto, sentì bussare alla porta e comparve un usciere, secco, allampanato, vestito d’una livrea grigia, mal tagliatagli addosso, concepita per incuter timore, rispetto e senso dell’autorità nel visitatore sprovveduto. Questi, con fare cerimonioso, e titubante a un tempo, gli disse: Comandi, Signor Ministro! Era la prima volta che lo chiamavano così, e lui provò, un senso di lieve imbarazzo e di turbamento (che presto sarebbe scomparso).

L’usciere se ne stette a osservarlo, con la curiosità interrogativa, un po’ ironica, di chi n’ha visti passar tanti di ministri. Ma questi qui – pensava – erano diversi: non se n’era visti mai, a sua memoria, ch’era bambino nell’immediato dopoguerra, quando, per qualche tempo, ve n’erano stati al governo.
Il giovane Ministro gli chiese dove mai fosse il bottone del comando, e questi rispose che non era in quella stanza che doveva cercarlo, ma in altre, e fece, con la testa, un cenno, come a significare che andasse cercato molto lontano. […]