Pakistan: minatori preistorici sulle Rohri Hill Dentro lo scavo

Archeologia Viva n. 60 – novembre/dicembre 1996
pp. 64-69

di Paolo Biagi

In Pakistan sulle colline che per un tratto di 50 km si distendono lungo la sponda orientale del fiume sono stati scoperti i più importanti depositi di selce sfruttati dalle popolazioni della civiltà dell’Indo

Una striscia verde posta fra due deserti che Alessandro il Macedone raggiunse all’estremo della spinta espansionistica che l’aveva portato fino alle regioni più orientali del suo impero. Una delle vie d’acqua più importanti del vicino mondo antico, dove si attuarono i processi di urbanizzazione e si svilupparono le civiltà complesse di cui la nostra struttura sociale è in qualche modo erede. Sono questi due diversi aspetti della Valle dell’Indo, una regione che l’archeologia ha sempre studiato con estrema attenzione nonostante tutte le difficoltà.

La Valle dell’Indo divide gli altopiani occidentali del Baluchistan e dell’Afghanistan dalle basse terre del deserto indiano del Thar. Oggi in parte interessata da una fertilissima regione agricola, ha sempre visto svilupparsi sul suo territorio grandi civiltà, i cui resti sono tuttora visitabili in molte zone archeologiche. Mohenjo-Daro, Harappa, Amri, Kot Diji, sono solo alcune delle città che vennero fondate in questa vallata durante il III millennio a.C. e che le ricerche degli inglesi, durante l’Impero, si impegnarono a riportare alla luce grazie a scavi condotti con grande dispendio di mezzi ed energie.

Durante il III millennio a.C. fioriva, nella Valle dell’Indo e nei territori limitrofi, la civiltà omonima, spesso anche denominata, con termine più tecnico, Harappana. Lungo le sponde del fiume, la città di Mohenjo-Daro si distribuiva su un’area di circa dieci chilometri quadrati. I suoi edifici, alzati interamente in mattoni, comprendevano strutture di alta ingegneria, fra cui un grande bagno pubblico. La città era fornita di grandi strade, canalizzazioni per far defluire l’acqua di consumo privato, quartieri residenziali e botteghe artigianali dove venivano prodotti beni di consumo ordinario, articoli voluttuari e di lusso. Il commercio aveva raggiunto, grazie alla grande via d’acqua che scende lentamente verso l’Oceano Indiano e il Mare Arabico, i paesi più lontani.

Con l’invenzione di una forma di scrittura, le attività commerciali erano state sensibilmente agevolate. Marchi e sigilli caratteristici della civiltà dell’Indo sono stati raccolti lungo le coste della Penisola Arabica, negli Emirati Arabi Uniti, in Qatar e in Oman, indicando chiaramente come già nel III millennio la navigazione avesse spinto i commercianti più intraprendenti a scoprire nuovi paesi in cui esercitare le loro attività.

Risale a pochi anni or sono la scoperta di un particolare aspetto di questa civiltà che era stato trascurato dagli archeologi: quello legato all’estrazione mineraria e al commercio di un’importante materia prima, la selce, fondamentale nella produzione di strumenti adatti all’attività agricola e artigianale. Alcuni studiosi avevano già notato che i reperti di selce scheggiata, portati alla luce durante gli scavi condotti in alcune delle città menzionate, avevano un aspetto e una forma comune, e indicavano, con ogni probabilità, una medesima zona di provenienza.

Altri avevano potuto osservare che sulle colline delle Rohri Hills, subito a sud di Sukkur, gli affioramenti di noduli di selce erano molto abbondanti. Già Blandford, nel 1880, in un testo classico dal titolo Geology of Western Sind riportava la presenza di nuclei e schegge di selce sulle colline nei pressi di Sukkur. Anni più tardi Cousens interpretava questi manufatti come resti di attività preistorica e così si esprimevano anche De Terra e Paterson quando, nel 1939, descrissero per la prima volta con accuratezza i reperti archeologici che venivano alla luce sulle colline. […]