Ricercatori in Giordania Obiettivo su...

Archeologia Viva n. 59 – settembre/ottobre 1996
pp. 86-90

di Massimo Sozzi

Da oltre venti anni una missione scientifica italiana opera negli spazi grandiosi del Deserto meridionale per studiare l’ambiente e le origini della cultura beduina

Partiamo da Am­man verso sud in un’accattivante giornata della primavera giordana. Dopo alcune ore di ambiente piatto e desolato, improvvisamente, all’altezza di Ras En Naqb, l’altopiano digrada per cinquecento metri nel grande bacino di Hisma. L’impressione è quella di trovarsi sul bordo dell’oceano: dal mare di sabbia emergono a perdita d’occhio enormi isole di roccia dalle altissime pareti dirupate. Questi jebel sono i testimoni di un antico massiccio frammentatosi in seguito alle vicende tettoniche che hanno interessato la regione fin da 60 milioni di anni fa.

Qualche chilometro ancora all’interno del bacino di Hisma e, al villaggio di Al Quweira, si devia a sinistra, verso est, per la strada di Wadi Ramm, una valle nota per la monumentale bellezza. Qui la scenografia è quasi lunare: l’ampia valle sabbiosa e incredibilmente ricca di vegetazione è fiancheggiata da imponenti pareti di arenaria che si elevano per un migliaio di metri. Le forre e gli anfratti in cui si articolano le due immense ali di roccia, oltre a dare respiro alla valle, l’arricchiscono di un fascino unico al mondo. Al centro della valle, ai limiti del villaggio beduino, una rest house accoglie dei visitatori smarriti dalla maestosità del luogo.

Lo scopo del nostro viaggio – dopo i primi contatti con un ambiente che, senza esagerare, stordisce chi vi si affaccia per la prima volta – comincia a farsi pressante: si decide di tornare alla realtà per rintracciare una base di ricercatori italiani, colleghi di lavoro. Ripresa la strada già percorsa, si inforca la prima deviazione a destra e, dopo una porta naturale costituita da due ciclopici pilastri di roccia, si è in vista del villaggio di Disi. L’attenzione è captata dalla prima abitazione, bianca, all’interno di un recinto di muro altrettanto bianco e un beduino armato al cancello. Davanti stazionano tre Land Rover e due bandiere, giordana e italiana, sventolano sul tetto. Siamo arrivati.

Nel 1974, su invito del Gruppo di Ricerche Scientifiche Tecniche Subacquee di Firenze che operava nel golfo di Aqaba, Edoardo Borzatti von Löwenstern, ora docente di Paleontologia umana all’Università di Firenze, visitò Wadi Ramm per contattarvi alcune famiglie beduine a fini di studio. Fu anche l’occasione per valutare l’ingente patrimonio archeologico e naturalistico dell’area, una ricchezza ancora sconosciuta al mondo scientifico.
Dopo questo primo viaggio Borzatti intensificò le visite, sempre in compagnia di allievi e specialisti: nascevano così, nel deserto meridionale della Giordania, le prime missioni interdisciplinari che avrebbero operato ininterrottamente fino a oggi.

Sin dall’inizio le missioni hanno goduto dell’appoggio del governo giordano, tramite il Dipartimento delle antichità, il Ministero dell’agricoltura, che per molti anni ha messo a disposizione alcuni ambienti di un progetto di bonifica, e il Ministero del turismo, che ha fornito regolarmente i fuoristrada. Ma la grande avventura scientifica non si sarebbe verificata senza la salda amicizia che l’équipe italiana ha stretto con le genti beduine locali, in particolare con lo sceicco di Disi, Juleil Soudan Abu Kaied Al Zawaidah, il quale, oltre a fornire preziosi aiuti logistici, si è sempre prodigato a favore delle ricerche intervenendo anche presso gli organi governativi. […]