Ulisse: il mito la memoria e… una dimenticanza Opinioni

Archeologia Viva n. 59 – settembre/ottobre 1996
pp. 80-81

di Baldassarre Conticello

A proposito di una mostra di successo dove un pezzo forte era costituito dalla grande ricostruzione del gruppo marmoreo della scena dell’accecamento di Polifemo scoperto nella grotta di Tiberio a Sperlonga

È stato motivo di grande meraviglia, per me, che le molte recensioni pubblicate sulla bellissima mostra “Ulisse, il mito e la memoria” – fatta eccezione per quelle di Giovanni Pettinato sul «Sole 24 Ore» e di Carlo Bertelli sul «Corriere della Sera» – non facciano alcun cenno alla circostanza, non secondaria, che le sculture di Sperlonga, formanti il cuore della rassegna, siano state restaurate, ricomposte ed esposte, unicamente a mia cura (grazie all’opera di genio dello scultore Vittorio Moriello e alla capacità del restauratore Carlo Casalese), dalla Soprintendenza archeologica del Lazio, che v’ha profuso idonei finanziamenti del nostro Ministero. Vorrei, pertanto porre riparo a questa dimenticanza.

I primi rinvenimenti furono opera di Erno Bellante, un ingegnere che nel 1957 conduceva i lavori di costruzione della strada statale 213 Flacca. Questi, al km 16+300, in una grotta sul mare, da sempre chiamata Grotta di Tiberio, mise in luce un numero cospicuo di frammenti di quattro grandi gruppi marmorei, rivelatisi subito – già a lui – di soggetto omerico, nonché altre sculture di carattere decorativo.

Subentrò al Bellante, fino al novembre 1963, anno del suo pensionamento, Giulio Jacopi, soprintendente alle Antichità di Roma I (che inaugurò anche il locale museo), allorché ricevetti l’incarico di continuare i lavori dal suo successore, Luigi Pietrogrande.

Coadiuvato, il primo anno, dallo scultore Lorenzo Ferri e, successivamente, da Vittorio Moriello, ripresi in mano i restauri e rinvenni altro materiale pertinente ai grandi gruppi omerici, sia assemblando le decine di migliaia di frammenti dei magazzini, sia facendo altri ritrovamenti nel mare antistante la grotta. Riconobbi, in particolare, in quello che lo Jacopi aveva ritenuto essere Laocoonte, il ciclope Polifemo, confortato dal consenso di tutti gli studiosi che in seguito s’occuparono delle sculture. […]