Simpatico ed esperto… come un tombarolo! Archeologia e diritto

Archeologia Viva n. 59 – settembre/ottobre 1996
p. 79

di Paola Tagliacozzo

Non sono tanto le lacune legislative quanto una diffusa “solidarietà” a limitare la repressione del furto e del commercio dei beni archeologici

In Italia, paese denso di stratificazioni di antiche civiltà, tutelare il patrimonio archeologico in modo efficace è, purtroppo, ancora un’utopia. Ma sarebbe semplicistico attribuire tale difficoltà solo a una normativa inadeguata. Per capire le ragioni profonde dello scarso potenziale deterrente delle norme e quindi della gravità del fenomeno degli scavi archeologici clandestini e del traffico illecito che ne consegue, si impongono anche considerazioni storico-sociologiche. A un’attenta analisi della normativa in materia di “cose d’antichità e d’arte” si scopre, infatti, che le disposizioni esistono e così anche le sanzioni, penali e amministrative.

È vero che il nucleo fondamentale delle disposizioni risale alla 1089 del 1939, la cosiddetta legge Bottai, addirittura impostata sulla precedente legge del 1909, di cui peraltro eredita il regolamento, e che l’art. 733 del Codice penale, come disposizione generale, cioè applicabile in ogni caso di danneggiamento di patrimonio archeologico, di cui sia noto «il rilevante pregio», risale all’anno in cui il cosiddetto codice Rocco entrò in vigore, cioè al 1930. Ma occorre evidenziare la scarsa applicazione di queste disposizioni, che, proprio perché nate in un momento socio-politico volto a enfatizzare le radici culturali e artistiche del Paese, sono sufficientemente severe e sarebbero pienamente applicabili con i normali strumenti di ermeneutica giuridica, che comprendono anche l’interpretazione estensiva o analogica per adattare le norme a una realtà mutata nel tempo. Peraltro, l’art. 733, che dovrebbe essere una norma di portata generale e “residuale”, cioè applicabile quando non si possono applicare le disposizioni della legge speciale di tutela, è l’esempio scolastico in dottrina, assieme all’art. 734 (deturpamento di bellezze naturali) di una norma di diritto positivo tuttora esistente, ma raramente evocata in sede giudiziaria. […]