Rischio Albania Futuro del passato

Archeologia Viva n. 59 – settembre/ottobre 1996
pp. 74-78

di Christian Zindel

Questa volta non parliamo del boat people che minaccia le coste pugliesi ma dell’aggressione europea al millenario patrimonio culturale albanese che vede in testa i trafficanti italiani
Per fortuna c’è chi lavora per salvare

Chi giunge in Albania con l’aereo, venendo dall’Adriatico, sorvola Durres prima di atterrare all’aeroporto di Rinas. Durres (Durazzo), l’antica colonia greca di EpidamnosDyrrachium, è sempre stata il porto principale, attraverso il quale sono penetrati nel paese tutti gli influssi culturali provenienti da sud e da ovest, trasmessi prima dai Greci, poi dai Romani, più tardi da russi e cinesi, oggi da italiani e americani. Nei tempi antichi si importavano vasi attici e tragedie greche, dall’Italia centrale le terre sigillate e il vino in anfore; i prodotti attuali sono gli “snickers”, la Pepsi e le antenne satellitari. Raiuno passa gratuitamente attraverso l’Adriatico.

Attualmente si incontrano più turisti rispetto al periodo del regime di Enver Hoxha, l’ultimo comunista d’Albania, ma le possibilità di ottenere informazioni su siti archeologici e musei rimangono assai limitate. Ecco, quindi, un quadro riassuntivo dei momenti che hanno caratterizzato lo sviluppo storico e culturale di questo paese, dalla Preistoria alla tarda antichità.

La popolazione degli Illiri, stanziata nei Balcani occidentali, era suddivisa in numerose tribù. Si suppone che durante l’ultima fase del Neolitico, cioè nella seconda metà del III millennio a.C., le culture balcaniche orientali (i Traci) e quelle occidentali (gli Illiri) si siano sviluppate in maniera indipendente. Si può dimostrare che nei Balcani occidentali la metallurgia si affermò con un certo ritardo rispetto alle regioni orientali. Ciò è messo in relazione con un possibile fenomeno di immigrazione di Indoeuropei, provenienti dall’Oriente, che si mescolarono con la popolazione indigena. I ricercatori albanesi li denominano Protoilliri, che sarebbero i Pelasgi menzionati da Erodoto. I monumenti più appariscenti di quest’epoca sono le tombe a tumulo, formate da colline artificiali del diametro di 15-30 m, costruite e utilizzate fino all’età del Ferro. Sono attestate per la prima volta a Pazhok, nella valle di Devoll, e a Barç, nel bacino di Korça.

Sembra che durante questo periodo lo sviluppo generale della cultura abbia avuto una sua omogenea continuità. In alcuni insediamenti, come a Maliq, si è conservata una stratigrafia priva di lacune, la cui sequenza parte dall’inizio del III millennio. Dalle miniere veniva estratto il rame, per esempio a Kukës e a Mat. La ceramica dell’età del Bronzo veniva generalmente cotta fino a raggiungere una colorazione molto scura e ornata a incisione.
Durante l’ultima fase di questa epoca nelle località meridionali dell’Albania la stessa ceramica venne rimpiazzata da un tipo denominato Devoll, con decori geometrici chiari su fondo scuro, con forme e decorazioni analoghe ai modelli della Grecia settentrionale. La frontiera tra la cultura Mat, al nord, e la civiltà Devoll, al sud dell’Albania, è materializzata dal fiume Shkumbin. Ancora oggi il confine linguistico fra i dialetti albanesi del “tosco” e del “gegio” passa per questa linea geografica.

All’inizio del I millennio a.C. alcune tribù illiriche attraversarono l’Adriatico e si installarono nelle Puglie e in Calabria. I Messapi, gli Japygi e i Dauni discendono, in fondo, dagli Illiri. Nella tarda età del Ferro nella terra di origine sono presenti tribù con un’identità regionale propria. I loro nomi vengono menzionati da Erodoto: i Tesproti, i Taulanti e i Paioni, che presero parte alla guerra contro i Persiani e parzialmente anche alla guerra del Peloponneso. I nomi di altre tribù come i Partini, i Byllioni, i Dassareti, gli Albani, i Labeati ecc. ci sono tramandati da fonti più tardive. Generalmente si trattava di contadini sedentari, ma è anche possibile che nelle zone montane i loro insediamenti fossero a carattere stagionale. […]