La vecchia di Corleone Nella Valle del Belice

Archeologia Viva n. 59 – settembre/ottobre 1996
pp. 34-40

di Francesca Spatafora

Non sappiamo ancora se l’antica città sorta sullo spettacolare altopiano che sovrasta l’attuale città del palermitano sia stata la Schera citata dal geografo Tolomeo
Il luogo fu comunque frequentato dalla Preistoria fino al Medioevo per la ricchezza della regione circostante e per la strategica posizione che consentiva il controllo dei traffici all’interno della Sicilia

Traversando l’ampia vallata dell’alto corso del Belice Sinistro o ripercorrendo le tracce dell’antica strada che dalla costa settentrionale dell’isola conduceva ad Agrigento, già da lontano si staglia maestosa la sagoma della Vecchia, un vasto tavolato circondato da pareti precipiti, certamente abitato fin dalla Preistoria e ancora in periodo medievale, che sovrasta l’attuale centro di Corleone. Il luogo ha una sua suggestiva bellezza, legata soprattutto all’isolamento e all’aspetto maestoso e selvaggio degli altopiani, dove si respira un senso profondo di libertà e solitudine. La montagna (1081 metri nel punto più elevato) si trova in una regione che, oltre a favorire l’insediamento umano per i propri caratteri geomorfologici, grazie alla posizione geografica ha sempre svolto un’importante funzione di collegamento tra le zone costiere settentrionale e meridionale e tra la parte orientale della Sicilia e la sua estrema propaggine occidentale.

In tale ambito un ruolo preminente sembra aver avuto, almeno in età storica, proprio la città situata sulla Vecchia, sia per la sua posizione di centralità e di dominio rispetto a un’ampia porzione di territorio che per una probabile funzione aggregante. Intorno alla Vecchia dovevano, infatti, dislocarsi numerosi insediamenti minori, secondo un modello che sembra tipico di quest’area occidentale della Sicilia: alla città di grandi dimensioni, in posizione elevata e di controllo, facevano da contorno numerosi piccoli centri, disposti quasi sempre su alture e lungo assi di comunicazione naturali o viari, che costituivano il tessuto connettivo per il controllo militare del territorio e per il suo sfruttamento ai fini di un’autonoma economia di sussistenza.

L’importanza, l’entità e la valenza storica dell’insediamento sorto sulla Vecchia non sono stati pienamente compresi da quanti, fin dal XVII secolo, visitarono i luoghi e ne descrissero i resti. Per primo, nel 1619, l’umanista tedesco Cluverius ne propose l’identificazione con l’antica Schera menzionata nel II sec. d.C. dal geografo Tolomeo. Quest’ultimo fornisce l’elenco delle città costiere della Sicilia e quello delle città interne, le pòleis mesògheioi, tra le quali inserisce «Schera», tramandandoci l’unica attestazione certa del toponimo. Della menzione di Tolomeo si servirono alcuni editori antichi e più recenti di Plinio e Cicerone che emendarono due passi di incerta trasmissione con l’etnico Scherinos.

L’attestazione di tale etnico si è avuta da una fonte diretta: secondo una recente lettura di Giuseppe Nenci, della Normale di Pisa, nel V decreto entellino, iscritto su una delle ben note tavolette in bronzo del IV-III sec. a.C. ritrovate sulla vicina Rocca d’Entella (trafugate e immesse nel mercato clandestino a eccezione della IX che si trova al Museo archeologico di Palermo, delle quali tuttavia ci sono noti i testi), è raccontato come, assieme ai Petrinoi, ai Makellinoi e ai Kytattarinoi, anche gli Scherinoi contribuirono al sinecismo di Entella.

Così si è posto con maggiore vigore il problema dell’ubicazione dell’antica Schera, che Tommaso Fazello ritenne città sicana, e si è ripresa con rinnovato entusiasmo l’ipotesi della sua identificazione con il sito di Montagna Vecchia di Corleone, anche se a ben vedere non esistono serie e provate motivazioni che consentano di supportare tale ipotesi, tranne la vicinanza con la stessa Entella, che si desume dal decreto prima ricordato, e l’autorevole tradizione cluveriana in base alla quale si è tramandata l’identificazione di Schera con Corleone. […]