Tunisia: riscoprire Uchi Maius Dentro lo scavo

Archeologia Viva n. 58 – luglio/agosto 1996
pp. 66-69

di Sauro Gelichi e Marco Milanese

Una missione archeologica italo-tunisina è al lavoro per definire la lunga storia di una città morta dell’Africa Preconsolare
Oltre che le testimonianze di vita di un centro minore negli strati intatti di Uchi Maius si conservano gli echi degli avvenimenti più grandi che interessarono l’impero e la successiva epoca bizantina e islamica

Era il lontano 27 settembre del 1882 quando un capitano dell’83° di fanteria di stanza a Bordj-Messaoudi, inviava alla Société archéologique di Kef la trascrizione di un’epigrafe romana contenente una dedica sacra (Salus Augusta?), che aveva localizzato nei pressi delle rovine di un sito archeologico (allora sconosciuto) non molto distante dall’antica città romana di Thugga (Dougga). Il mese successivo, sollecitato dall’interesse per la scoperta, un altro ufficiale francese individuò e trascrisse nella medesima località altre cinque iscrizioni, riuscendo per la prima volta a determinare il nome della città cui quelle epigrafi, e le rovine tra le quali erano state scoperte, appartenevano: Uchi Maius entrava così ufficialmente nella storia degli studi archeologici.

Tuttavia l’originario interesse degli scopritori, come prevalentemente quello degli studiosi che in quegli anni erano impegnati a riportare in luce il passato antico della Tunisia, rimaneva circoscritto al patrimonio epigrafico, la cui natura, anche nel caso di Uchi Maius, doveva rivelarsi ben presto di considerevole interesse. Solo una decina di anni dopo, nel 1891, percorrendo la vallata dell’oued Arkou (il fiume nei pressi del quale sorgeva l’antica città di Uchi Maius), Eugène Sadoux si soffermò a descrivere, analizzare e disegnare i superstiti resti monumentali dell’abitato: non molti né particolarmente vistosi, soprattutto se messi a confronto con quelli di altre città dell’Africa Proconsolare, ma contestualmente significativi per determinare, seppure a grandi linee, l’estensione e l’impianto dell’insediamento.

Le ricerche proseguirono negli anni a venire fino al 1908 quando altri due studiosi (A. Merlin e L. Poinssot) pubblicarono, oltre che una silloge critica del patrimonio epigrafico della città, una pianta del sito con l’ubicazione delle principali emergenze monumentali: l’arco onorario (già disegnato dal Sadoux), le enormi cisterne (che avevano dato il nome al sito: in arabo Henchir ed-Douamis, letteralmente ‘i Sotterranei’), l’anfiteatro e il Foro (individuato grazie alla presenza di una serie di iscrizioni dedicatorie piuttosto che all’evidenza archeologica dei resti).

Dopo le pionieristiche attività di ricognizione e ricerca della fine del secolo scorso, l’interesse per Uchi Maius venne lentamente scemando. Non dovettero giocare un ruolo secondario la già ricordata scarsa monumentalità delle rovine (soprattutto se paragonata a quella di città vicine come Thugga o della stessa Bulla Regia), la non grande estensione dell’abitato, l’esaurirsi, con il tempo, del patrimonio epigrafico. […]