C’era una volta in Iran L’Oriente e l’Islam

Archeologia Viva n. 58 – luglio/agosto 1996
pp. 18-33

di Judith Lange e Giorgio Bejor

Dalle sconvolgenti testimonianze degli Achemenidi alle meraviglie architettoniche dell’Islam il viaggio dell’inviato di “Archeologia Viva” ha confermato le attese: alle porte dell’Oriente esiste una terra straordinaria capace di comunicarci il senso dei millenni nel lento e indelebile fluire delle civiltà

Sorvolando Teheran, di notte, la città appare come una gigantesca galassia, con un immenso, compatto e luminoso corpo centrale, accerchiato da innumerevoli pianeti minori, i quartieri nati spontaneamente o voluti dal governo per far fronte alla mostruosa crescita della capitale dell’Iran, in vent’anni passata da sei a dodici milioni di abitanti, circa il venti per cento dell’intera popolazione.

Di giorno, a prima vista, Teheran si mostra grigia, pesante, indefinibile, dispersiva e neutra, per niente “orientale”, non fosse per le donne che con grande destrezza si muovono nei lunghi vestiti, non necessariamente il chador, ma l’hejab, che copre il corpo e i capelli, emblema della “dignitosa modestia” richiesta dalle regole dell’Islam iranico. Antico è anche il suono delle parole nella lingua farsi , il persiano, totalmente differente dall’arabo da cui ha preso in prestito soltanto le lettere, che hanno sostituito le lettere aramaiche del passato in uso fino al regno dei Sassanidi nel VI sec. d.C. Non è solo la lingua a creare la differenza tra il popolo persiano e quello arabo: il persiano è di stirpe indoeuropea (delle civiltà arie, airya, “nobile” presso gli indoiraniani) proveniente dal Caucaso, dalla Media e dal Centro Asia; popolazioni che si sono insediate, vincendo gli indigeni Elamiti nel VII sec. a.C., nella regione chiamata poi Persis, che vede la nascita del grande impero persiano dei re achemenidi.

Nonostante l’aspetto anonimo di metropoli in crescita, Teheran cela nelle pieghe più nascoste i frammenti della sua antica storia: spuntano cupole d’argilla e minareti nei vecchi bazar, ormai cinti per chilometri da un solido nastro di botteghe in muratura. La Teheran vecchia – più che antica (per la maggior parte i monumenti risalgono al secolo scorso) – tira comunque l’ultimo respiro: qualche maiolica sbrecciata, calligrafie sbiadite, mosaici opachi dallo smog, ottocenteschi mattoncini rattoppati…

La città del futuro si sta costruendo secondo il modello di tutte le capitali moderne: larghi boulevard (lungo i quali scorrono, simili a torrenti, i jub, canali a cielo aperto, con l’acqua fresca delle montagne), una potente rete di raccordi autostradali intorno ai quartieri-dormitorio, centri commerciali, vasti parchi e faraonici santuari per celebrare la memoria degli eroi dell’ultima generazione. Impressiona più di tutto il mausoleo di Khomeini, non ancora terminato, vera cattedrale nel deserto alle porte di Teheran, con una sala centrale ampia quanto una piazza e usata come tale, perché è allegramente invasa da famiglie numerose, sedute in circolo per pregare, leggere o chiacchierare, mentre i bimbi usano il lustro pavimento marmoreo per giocare allo scivolo.

In grande considerazione sono tenuti i musei, con allestimenti curati nei minimi dettagli, spesso in collaborazione con architetti italiani e francesi, come il bellissimo Museo Abgineh dei vetri e delle ceramiche o il ricco Museo archeologico (Iran Bastan) che conserva i tesori dei re achemenidi e i capolavori dell’arte islamica, senza dimenticare i numerosi spazi espositivi per le collezioni etnografiche e dell’artigianato con tappeti, miniature, gioielli e oggetti di cultura materiale provenienti da tutte le regioni dell’Iran.

La veloce partenza da Teheran, città forse troppo poco esplorata, è giustificata dall’attrattiva dei luoghi che ci aspettano nella regione del Fars, nel meridione del paese: Shiraz, la capitale culturale, Persepoli, Pasargade e Naqsh-i Rustam, i grandi centri dell’impero persiano.
La fama letteraria di Shiraz è dovuta ai suoi grandi poeti, Saadi (1193-1291) e Hafez (1324-1389), ai quali la città ha dedicato due monumentali tombe. Saadi canta la bellezza e la dolcezza della vita persiana nel poema Gulistan (Il giardino di rose) e nel Bostan (Il giardino fruttato), mentre il poeta Hafez, grande viaggiatore, ammirato e ascoltato anche in Europa, era maestro delle Ghazels, delle rime brevi e delle odi, declamate «come si infilano perle».

Il cuore di Shiraz batte intorno alla cittadella di Karim Khan del XIX secolo. Nonostante la città sia stata risparmiata durante le invasioni mongole di Gengis Khan e di Tamerlano, tra XIII e XIV secolo, sono rimasti pochi monumenti del primo Islam, crollati per guerre successive o cause naturali, prime fra tutte i terremoti. L’impronta maggiore alla città l’ha data l’epoca Qajar, sotto il regno di Nasr-el Din (1848-1896), un periodo aperto agli influssi europei, come mostra lo stile floreale, l’abbondanza di specchietti e cristallerie e di pitture idilliche nei palazzi, la sinfonia di rosa e celeste delle rivestiture a maiolica delle moschee e delle madresseh, le scuole coraniche. La dinastia dei Qajar fu accusata di crudeltà e dissipazione del patrimonio persiano, per cui Nasr-el Din venne assassinato da un riformatore panislamico, Jamal al Din al Afghani, che poté contare su un grande seguito popolare per riportare in Iran la sharia, la via giusta dell’Islam. […]