Passaggio in Anatolia Da Ankara al Nemrut Dag

Archeologia Viva n. 57 – maggio/giugno 1996
pp. 54-64

di Giorgio Bejor

Lo sconfinato altopiano anatolico ha fatto da sfondo a precoci e originali civiltà: prima fra tutte quella degli Ittiti la cui epoca fu così importante da segnare un “prima” e un “dopo” come fu in Europa con l’Impero romano
Gli “appunti di viaggio” di un archeologo del nostro tempo dalle sale dell’emozionante Museo delle civiltà anatoliche alla cima della montagna sacra di Antioco

Ankara non è una brutta città. La parte nuova è attraversata da grandi viali alberati; e la città vecchia, con la cittadella, arroccata su un colle, ha in corso un’attivissima opera di recupero e di valorizzazione, che le sta sempre più restituendo quel fascino orientale che ha in tante litografie dell’Ottocento.
Anche il celebre tempio di Augusto, quello che porta incise sui muri perimetrali le res gestae dell’imperatore, è stato di recente restaurato e riaperto alle visite.

Ma quel che rende Ankara una tappa essenziale nella visita della Turchia interna resta il suo impressionante Museo nazionale delle civiltà anatoliche. Colpisce sempre l’ambientazione, in un antico bazar coperto, che consente d’esporre nella grandissima sala centrale i principali monumenti della scultura ittita, dagli ortostati di Alaca Höyük, del XIII sec. a.C. (quindi ancora Ittiti “classici”, quando il dominio di questo popolo si estendeva dall’Egeo alla Siria), ai grandiosi complessi neoittiti di Arslan Tepe (tepe, come höyük, in turco significa “collina”, l’equivalente del tell mesopotamico) e soprattutto di Karkemish (VIII sec. a.C.), una delle più potenti e celebri tra le piccole capitali nate dopo la dissoluzione del regno ittita.

Le stanze minori si susseguono ad anello tutt’attorno al salone centrale, e con migliaia di oggetti dànno un quadro complessivo dello sviluppo delle civiltà di tutta la penisola anatolica. È stato qui ricostruito anche uno degli ambienti principali di Çatal Höyük, tra le più antiche città che si conoscano (6500-5750 a.C.), sorta in Anatolia quando iniziarono a essere praticati agricoltura e allevamento. I muri di fango intonacato sono arricchiti da decorazioni, sia dipinte che a rilievo; tra queste ultime, i crani di buoi, oggetto d’un culto della fertilità che si continuò sino all’avvento del Cristianesimo.

Seguono le sale dedicate alle prime età dei metalli, che sembra che siano stati scoperti e lavorati per la prima volta proprio in Anatolia. Di sicuro la regione fu sempre celebre per le sue miniere: per secoli, folti gruppi di cercatori e di commercianti di metalli penetrarono fra le sue montagne, provenienti dalle città della Siria e della Mesopotamia.

Non mancano, ovviamente, le sale che illustrano la cultura materiale del periodo di maggior splendore, quello segnato dalla formazione e dall’espansione del regno degli Ittiti (grosso modo tra il 1700 e il 1200 a.C.). Fu un periodo così importante che per tutta quest’area si parla spesso di civiltà preittite e di civiltà postittite, un po’ come si fa da noi con l’Impero romano. Il loro potente stato arrivò dall’Egeo all’Eufrate, ma fu spazzato via in pochi decenni dall’arrivo di nuove popolazioni indoeuropee, che vennero a insediarsi sul Mediterraneo: è una fase storica nella quale, ai margini occidentali dell’Anatolia, fu distrutta anche la Troia omerica.

Nei secoli immediatamente successivi, mentre più a sudest si rendevano indipendenti alcune città che continuavano in qualche modo il retaggio culturale ittita (e per questo sono chiamate neoittite), all’interno della penisola anatolica andarono formandosi nuovi grandi stati, noti anche dalle notizie che ce ne lasciarono i Greci, con i quali vennero a contatto: in particolar modo i Frigi e i Lidii, con le loro capitali, Gordion e Sardi, dove le tombe dei sovrani erano ricoperte da tumuli artificiali alti anche settanta metri.

In una delle sale del Museo delle civiltà anatoliche di Ankara è stata ricomposta una di queste camere funerarie in tronchi di pino, in assoluto la più ricca: scoperta a Gordion, ne viene mostrato il ricchissimo corredo di bronzi e ceramiche, accanto ai resti mortali appartenuti molto probabilmente a uno dei più grandi dei re frigi, Mida, morto nel 696 a.C. Subito accanto è esposto da un paio d’anni anche l’ultimo arrivato: il gruppo di vasi d’argento decorati provenienti dai tumuli della Lidia, e attribuito, forse con troppo sensazionalismo, a un altro nome illustre: Creso, il re di Lidia che nel 535 a.C. dovette soccombere all’invasione persiana.
Scorrono così davanti agli occhi del visitatore millenni di storia; e, alla fine, si ha un quadro straordinariamente ampio del susseguirsi delle varie civiltà, e delle loro grandiose realizzazioni. […]