Ai confini della legge Archeologia e diritto

Archeologia Viva n. 56 – marzo/aprile 1996
pp. 61-62

di Stefano Benini

La vicenda dei Massi di Cemmo è sintomatica non tanto dei conflitti che possono insorgere fra le diverse esigenze del corpo sociale quanto dell’incapacità o non volontà degli organi competenti di regolare i conflitti applicando efficacemente le norme

L’esistenza del vincolo storico-artistico su un bene non comporta di per sé l’immodificabilità assoluta dello stesso: si tratta di beni mobili, che si vogliano, per esempio, restaurare, o di immobili, siano essi edifici o monumenti, o semplicemente suolo, su cui s’intendono praticare interventi a carattere edilizio, l’esistenza del vincolo comporta semplicemente che prima di qualsiasi attività atta a modificare la consistenza del bene, si debba ottenere l’autorizzazione degli organi (Ministero dei beni culturali e Soprintendenze, che del primo sono organi periferici) preposti alla tutela del patrimonio storico-artistico.

La procedura va osservata non solo per le costruzioni private, per quali l’autorizzazione della Soprintendenza (come pure il nulla osta della Regione se l’area ricade in zona paesaggisticamente tutelata) costituisce il presupposto per il rilascio della concessione edilizia da parte del Sindaco, ma anche qualora l’intervento consista nella realizzazione di un’opera pubblica, da parte dello Stato, della Regione, del Comune o altro ente. Così, qualora un comune decida, come nella vicenda dei Massi di Cemmo, la costruzione di una strada, e questa venga a interessare un’area archeologica, è necessario che l’amministrazione dei beni culturali, vagliata la compatibilità dell’opera con le esigenze di conservazione delle testimonianze di civiltà, rilasci un’autorizzazione perché la stessa amministrazione comunale possa procedere. […]