Vero o falso? Quando l'autenticità non è un opinione

Archeologia Viva n. 54 – novembre/dicembre 1995
pp. 60-67

di Ninetta Cuomo Di Caprio

Verità e menzogna ci inseguono per l’intera esistenza esposti come siamo alla possibilità di sbagliare e di essere ingannati
In questo caso l’appassionante categoria viene applicata (con l’aiuto di indagini incrociate) alla riproduzione dei vasi antichi croce e delizia del mercato antiquario
Ce ne parla una specialista in materia autore di un libro simpatico che ha fatto piangere tante persone

Come nasce un libro sui falsi? La domanda mi è stata rivolta più volte dopo la pubblicazione di un mio volume in materia e ogni volta mi sono trovata nell’imbarazzo della risposta. Debbo confessare che non vi è stata una precisa programmazione. La trama del libro è nata e si è sviluppata a partire dagli inizi degli anni Settanta, epoca dei miei primi tentativi per capire se una ceramica dall’apparenza antica e di provenienza ignota fosse autentica, frutto di scavi clandestini, oppure falsa, frutto di imitazione moderna.

In quegli anni non era facile ottenere un giudizio netto sulle ceramiche antiche, o presunte tali. Le risposte date dagli archeologi classici erano spesso dubitative poiché l’esame tipologico e stilistico, pur essendo fondamentale, non era sempre sufficiente a dirimere i dubbi. Si seguiva la regola di confrontare forma e decorazione del vaso “ignoto” con manufatti simili riportati alla luce dagli scavi archeologici, e dal confronto dovevano scaturire precisi riscontri sia formali che decorativi. Se ciò non avveniva, l’archeologo giudicava falso il vaso, o quantomeno si asteneva dal giudizio. Tutto questo lasciava la porta aperta all’incertezza.

Vista la difficoltà di ottenere risposte sicure, si poteva forse ottenere qualche lume affiancando all’esame stilistico lo studio del vaso sotto l’aspetto tecnico, ossia materiale. Nei primi anni Settanta ho quindi incominciato a interessarmi alle tecniche di produzione ceramica. Nelle località, ormai rare, dove erano ancora praticati i vecchi sistemi lavorativi, in particolare in Puglia, ho frequentato a lungo le botteghe dei vasai che lavoravano con il tornio a piede e usavano le fornaci tradizionali a legna, oggi pressoché scomparse. Mi è stato così insegnato in via diretta “come si fa” un vaso, dalla modellazione all’applicazione del rivestimento, alla decorazione e i vecchi vasai mi hanno pazientemente spiegato i segreti della cottura, una fase lavorativa di fondamentale importanza perché costituisce l prova finale dell’intero ciclo di lavorazione.

Tutti questi elementi di conoscenza erano preziosi per mettere a confronto sotto l’aspetto tecnico le ceramiche autentiche e quelle moderne, verificandone le differenze. Tuttavia mi rendevo conto che, per offrire maggiori garanzie, una ricerca di autenticità non poteva essere basata su un solo esame, bensì doveva rappresentare la risposta conclusiva di una serie di indagini autonome e indipendenti l’una dall’altra. A mio avviso, infatti, non si dovrebbe esprimere una condanna basandosi sul risultato di un unico esame, per quanto valido e accurato questo possa essere. Ciò sia per il rispetto dovuto al manufatto, che – artico o moderno – è comunque frutto di lavoro e fatica, sia perché nell’emettere un giudizio l’errore dell’uomo e delle macchina è sempre in agguato.

Mi è sembrato quindi opportuno affiancare agli esami tecnici ulteriori indagini, e precisamente l’analisi delle incrostazioni e l’analisi di termoluminescenza. Le incrostazioni sono costituite dallo strato di materiale eterogeneo che si è formato sulla superficie dei reperti archeologici durante i secoli della loro sepoltura, a causa della lenta deposizione dei sali minerali presenti nella falda freatica del sottosuolo. Sono quasi sempre presenti sui reperti autentici, in quantità e spessori variabili, spesso con un aspetto pulverulento. Sono presenti anche sulle ceramiche di imitazione perché il falsario ne conosce l’importanza, e si preoccupa di preparare delle incrostazioni artificiali e di applicarle ad arte sul vaso per dargli un aspetto di “vecchio”. […]