Una casa per le fate: le domus di janas Sardegna prenuragica

Archeologia Viva n. 54 – novembre/dicembre 1995
pp. 46-59

a cura di Bert d’Arragon

Le domus de janas costituiscono uno degli aspetti più tipici delle genti sarde prima dell’età nuragica
Nella fantasia popolare esse sono state collegate a realtà magiche e incomprensibili mentre l’archeologia ce ne spiega il profondo significato culturale

Il nome domus de janas, espressione che in lingua sarda significa “casa delle fate”, è un esempio della fantasia dell’uomo medievale. Le migliaia di piccole grotticelle, presenti in tutta l’isola, che all’interno sono spesso lavorate e simili a primitive abitazioni, hanno fatto pensare agli antichi sardi che fossero abitate da fate e streghe. Esse costituirono, invece, l’ultima dimora per le genti che abitarono la Sardegna dalla fine del IV alla prima metà del II millennio a.C.

Le tombe ipogeiche, o “a grotticella”, sono un tipo di sepoltura molto caratteristico nel bacino del Mediterraneo. Sono diffuse, in maniera abbastanza omogenea, con alcune caratteristiche ricorrenti, lungo le coste dall’Egitto alla Frigia, dalla Siria alla Sicilia e da Malta all’Etruria e alle Baleari. Le domus de janas della Sardegna si collocano tra le più antiche di queste tombe ipogeiche. Sono inserite in una scala cronologica molto vasta, che va dal Neolitico fino alle età del Bronzo e del Ferro. Anche la loro diffusione geografica in Sardegna è piuttosto vasta: le maggiori concentrazioni di domus si trovano nella fascia occidentale dell’isola, nelle zone di Sassari, Alghero, Oristano e nel Sulcis-Iglesiente, ma anche nelle montagne centrali del Nuorese esse sono molto diffuse. Sono più rare in Gallura e nella fascia costiera orientale (per esempio nella zona di Siniscola – Orosei – Dorgali) senza, però, mai mancare del tutto.

La maggior parte delle tombe a grotti cella di ambito mediterraneo contengono sepolture del tipo collettivo: la stessa tomba veniva utilizzata per molte deposizioni successive e contiene tutti i defunti di un clan familiare o di un villaggio. Solo in casi eccezionali, come le tombe principesche egiziane (un esempio per tutti, la tomba del giovane faraone Tut-Ankh-Amun) e le tombe-santuario della Frigia, questi sepolcri contenevano un solo defunto.

Nelle domus de janas sarde poche volte sono stati rinvenuti fortunati depositi archeologici, indisturbati e capaci di restituire dati significativi. La composizione chimica del terreno, che talvolta distrugge resti ossei in tempi rapidi, e soprattutto le numerose profanazioni antiche e recenti rendono difficile ricostruire il numero preciso delle deposizioni funerarie e la loro successione nel tempo. Le tombe che hanno restituito resti di ossa umane contenevano un numero di defunti che vanno da alcune decine (come delle necropoli di Filigosa e Anghelu Ruju) fino ad alcune centinaia. Lo studioso sardo Giovanni Ugas ha individuato nella domus detta “dei guerrieri”, purtroppo semidistrutta da lavori edili, i resti di almeno 182 inumati, depositati durante un arco di tempo che comprende più di un secolo.

Quando sono stati ritrovati resti umani si è potuto accertare che i defunti appartenevano ad ambo i sessi e, in molti casi, a tutte le fasce d’età, compreso individui morti in età infantile. Ciò è interessante perché in molte società preistoriche i bambini deceduto non venivano sepolti nelle necropoli – di solito distanti dai villaggi –, ma vicini alle abitazioni dei vivi, talvolta addirittura sotto il suolo delle capanne, forse abitate dalla loro famiglia. […]