Dall’Egitto copto all’Abruzzo bizantino Fra l’età romana e l’Altomedioevo

Archeologia Viva n. 54 – novembre/dicembre 1995
pp. 18-31

di Andrea Staffa, Sara Iachini e Rocco Valentini

A Crecchio in provincia di Chieti la cisterna di un insediamento romano-bizantino ha restituito una serie straordinaria di materiali che si inseriscono in quel mosaico di popoli e vicende in rapido divenire quali furono l’Italia e il Mediterraneo nei secoli subito successivi alla fine dell’impero d’Occidente

Insieme ad altri ritrovamenti ostrogoti longobardi e bizantini effettuati nella regione emerge il ruolo di cerniera assunto dalla terra abruzzese in una penisola divisa fra barbari e romani

Sin dalla fine del V secolo (493 d.C.) l’Abruzzo, come il resto dell’Italia, era entrato a far parte del Regno ostrogoto fino alla guerra con i bizantini (535-553 d.C.); e si può supporre che anche in questa regione, come altrove in Italia, le comunità locali continuassero a reggersi su quanto restava dell’antico assetto municipale. Con la guerra greco-gotica, nell’inverno 537-38, l’intera area divenne teatro del duro confronto fra le truppe ostrogote e il comandante bizantino Giovanni inviato da Belisario, evento che era destinato a lasciare nella regione, e in particolare nella parte più settentrionale connessa al Piceno antico, conseguenze profonde.

I dati archeologici disponibili sono ben chiari nel restituire le tracce dell’accanito confronto, essendosi susseguiti nell’ultimo secolo i rinvenimenti di cultura ostrogota, da tombe e ripostigli dell’intera regione, fra cui in particolare i due Spangenhelme (elmi a montanti metallici) da Montepagano (Roseto-Te) e Torricella Peligna (Ch), tipici esempi di una classe di materiali che le più recenti indagini hanno ormai permesso di attribuire a botteghe artigiane romano-barbariche localizzate in Italia, nonché altri materiali da tombe per lo più localizzate in provincia di Teramo. Non sembra al proposito casuale che vari degli insediamenti rurali ancora attestati fra Tramano e Pescarese nella prima metà del VI secolo non presentino tracce d’occupazione di età successiva.

A questi fatti – con il loro seguito di massacri, saccheggi e devastazioni – seguì nel 539 (come riferisce Procopio) una gravissima carestia, tale da provocare la morte di circa 50.000 contadini nel solo Piceno. Lo stato di desolazione delle popolazioni e delle amministrazioni municipali dovette inoltre essere accentuato dall’esasperato fiscalismo dei funzionari bizantini, connesso a una sistematica ricostruzione della grande proprietà senatoriale.

Appare ovvio che accadimenti di tale portata, con il loro seguito di atroci privazioni e sofferenze per la gente comune, non potevano non dare inizio al progressivo tracollo dell’assetto territoriale antico quale si era conservato ancora nei primi decenni del VI secolo. Fra il IV e V secolo si assiste, specie sul versante adriatico della regione, a una forte contrazione dell’abitato rurale con l’abbandono di numerose fra ville e insediamenti rustici e la concentrazione della popolazione e delle attività economiche in alcune grandi ville occupate talvolta fino al Vi secolo, presumibilmente connesse all’ormai sopravvenuta articolazione tardo antica delle campagne in latifondi. […]