Archeologia Viva n. 54 – novembre/dicembre 1995
di Piero Pruneti
L’Italia è il paese a maggiore concentrazione di beni archeologici. Millenni di stratificazione si sovrappongono in tutta la penisola. Basta trivellare per scoprire ovunque questo nostro petrolio. Ma l’Italia è anche il paese degli archeologi mancati, cioè migliaia di giovani e non più giovani che non hanno trovato e non troveranno il lavoro sognato. Intanto le nostre scuole di specializzazione in archeologia, le migliori al mondo, continuano a sfornare fior di cervelli che hanno studiato quanto un medico e che sono destinati al macero della disoccupazione sullo sfondo paradossale di un patrimonio archeologico grandioso. Un dato per capire: l’ultimo concorso per entrare come archeologo nelle soprintendenze c’è stato nel 1986, il bando del prossimo esce in questi giorni e prevede l’immissione in ruolo di venti o trenta persone… la cifra non ricede commenti.
Ancor più grave è che non si sia provveduto neppure a creare l’albo degli archeologo (che costerebbe allo Stato lo spazio di una legge), per cui l’archeologi in Italia è un fantasma che si materializza solo se trova lavoro in una struttura pubblica (soprintendenza o università). Almeno la soddisfazione di sentirsi chiamare con il titolo per cui si è studiato e tirociniato gratuitamente per anni! Conosco persone con alle spalle laurea, specializzazione e innumerevoli campagne di scavo che hanno dovuto togliere dal biglietto da visita la scritta “archeologo” pena l’accusa di millantato credito. Il ministro Paolucci, in un recente incontro presso la Biblioteca nazionale di Firenze di presentazione del preoccupante Dossier archeologia-Duemila aree da valorizzare (edito per i “Quaderni del Circolo Rosselli”), ha detto che i nostri parlamentari riservano ai beni culturali una briciola insignificante delle risorse pubbliche, non perché sono cattivi, ma perché rispecchiano fedelmente le attese degli italiani, e che in democrazia per cambiare le cose occorre cambiare il modo di pensare della gente. Peccato che chi ha gli strumenti per farlo preferisca educare i giovani a suon di karaoke.
Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”