Storia di una distruzione Archeologia e diritto

Archeologia Viva n. 51 – maggio/giugno 1995
pp. 90-91

Stefano Benini

La scomparsa avvenuta in Etruria di una serie di tumuli protovillanoviani pone il problema di un rapporto organico dell’archeologo con l’ambiente in cui opera

Grandi discussioni si agitano intorno alla legge n. 1089 del 1 giugno 1939 e da decenni ormai si vagheggia una riforma che porti la tutela del patrimonio storico-artistico al passo con i tempi, distaccandosi da un’ottica protezionista spinta all’eccesso e tenendo presenti le necessità della valorizzazione dei beni culturali e della loro fruizione da parte della comunità. Si è avuto modo di scrivere su Archeologia Viva, che la 1089 è comunque una buona legge, tecnicamente ben formata e teoricamente idonea ad assicurare un’efficace conservazione del patrimonio storico-artistico. Il problema è quello dell’applicazione della normativa: le leggi sono inerti e imponenti, se manca la seria volontà di farle rispettare.

La colpa dell’attuale situazione dei beni culturali non può essere attribuita – o almeno non soltanto – all’inerzia burocratica, ma va ricercata assai più in alto, nei responsabili di governo e della classe dirigente dall’unità d’Italia a oggi. Ma il tema delle responsabilità politiche, nella difficile ricerca di un equilibrio tra le esigenze della proprietà e della produzione (ma anche, purtroppo, della speculazione da un lato e della cultura dall’altro) si presenta assai complesso, e non si può avere la pretesa di affrontarlo in poche righe.

Di certo però, sugli attentati perpetrati a danno del patrimonio artistico italiano si potrebbe scrivere volumi, come, d’altro canto, le opere di salvataggio compiute dalle soprintendenze potrebbero costituire materia di romanzo, dal momento che ogni soprintendente ne avrebbe molte da raccontare sulle pressioni ricevute da parte delle autorità, anche ecclesiastiche, per un’applicazione “comprensiva” o “tollerante” della legge di tutela. […]