L’alba di un nuovo impero Nubia: il sogno dei faraoni neri III

Archeologia Viva n. 34 – dicembre 1992
pp. 10-23

di Maurizio Damiano Appia

Riprende il reportage della solitaria spedizione in Nubia effettuata dal corrispondente di “Archeologia Viva”
Le rovine di Napata l’antica capitale e le tombe dei faraoni neri si stendono presso la grande curva dl fiume che lambisce l’inferno infuocato del deserto Bayuda oltre il quale si trova l’ultimo regno del sud

Dongola antica, con le sue chiese e qubbe, si perde lentamente all’orizzonte, mentre “Nefert” galleggia beata sul traghetto (un pontone della seconda guerra mondiale). La mia mia Nefert… non è più un’auto, né il laboatorio-casa-ufficio; è ormai un’amica; unica compagna, fedele lungo migliaia di chilometri di deserto; se cedesse, potrebbe essere la fine, nella solitudine di queste vastità.
La guardo quasi con affetto mentre la riva occidentale del Nilo si avvicina, e penso che il peggio deve ancora venire. Si tratta infatti di affrontare la curva di Ed Debba, uno dei tratti più difficili del percorso; dopo una sosta nel suk (mercato) ci si lancia verso la capitale dei Faraoni Neri.

È difficile guidare sulla sabbia, solcata dalle profonde tracce dei camion; si deve decidere velocemente, a ogni istante, il percorso da seguire senza fermarsi né cadere nei profondi segni, altrimenti bisogna perdere ore di lavoro nella sabbia. Spesso devo guidare in equilibrio sulle creste dei solchi, ma alla fine arrivo al terreno solido verso Korti. Più avanti, sorpasso i tumuli di Tangasi, che hanno dato il nome alla cultura meridionale della civiltà del Gruppo X.

E finalmente arrivo a Merowe-Sanam (da non confondere con Meroe). Qui si trovano le rovine di un grande tempio, voluto dal solito Taharqa in onore di Amon. Ci troviamo in quella che probabilmente fu la capitale del regno di Kush; poco lontano, infatti, si sono rinvenute le rovine di un palazzo (reale?) e di magazzini: probabilmente la situazione doveva essere simile a quella romana, con potere politico e religioso separati, ma vicini, esendo infatti la capitale religiosa a Gebel Barkal, sull’altra sponda del Nilo. Mi apro un cammino fra i tanti bambini curiosi che mi si stringono intorno, domandandosi cosa possa trovare di tanto interessante fra le rovine del tempo, questo bianco matto.

Per un attimo cerco di mettermi al loro posto: pieni di vita e d’allegria, vedono questo tipo silenzioso che scatta foto e poi si siede per terra con il suo block notes a prendere appunti davanti a quelle pietre per loro mute. L’immagine è un po’ strana, in effetti, e allora comincio a scherzare con loro, che diventano assistenti improvvisati: chi mi aiuta a prendere le misure, chi va a caccia di rilievi, chi mi segue con rinnovato interesse. Poi anche Merowe resta dietro di me, e riattraverso il Nilo per tornare sulla sua sponda destra. Fra i palmenti alla mia sinistra e il deserto sul lato nord, torno verso sud-ovest per qualche chilometro.  […]