Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 34 – dicembre 1992

di Piero Pruneti

Nella rubrica “Il futuro del passato” (pp. 62-66) si annuncia un progetto per la realizzazione del parco archeologico di Axum in Etiopia, dove si parla di investire risorse umane e soldi in un paese uscito stremato dalla guerra con la vicina Eritrea  da una dittatura al cospetto della quale l’iniquo governo dell’assassinato imperatore Hailé Selassié assume i contorni di un augurabile dispotismo illuminato.

Ora gli Etiopi si trovano nella spirale della fame e, al pari di altri popoli africani di meno nobile storia, debbono contare sugli avanzi dell’ancora grasso Occidente. Intanto noi, affacciati alla finestra di quella ristretta parte del mondo che dorme con la pancia piena, ci poniamo il problema di salvare delle pietre con la gente che muore lì vicino, come ci scandalizziamo per gli incendi sistematici dell’Amazzonia attraverso la quale alcuni popoli vedono invece passare la strada del proprio sviluppo, come vogliamo distruggere in una laica crociata i campi di coca che purtroppo coinvolgono anche il reddito di sussistenza dei contadini colombiani e peruviani.

Dunque, così è se vi pare: la realtà, che ci sembra obiettiva, muta volto a seconda della parte umana a cui si appartiene, in un gioco relativistico che ha per motore la sempre crescente disparità economica fra stati ricchi e poveri del pianeta. Questa disparità, rimanendo irrisolta, costituirà la principale causa delle future grandi tragedie dei gruppi umani che popolano la terra, compresa giustamente la razza bianca. E allora, è opportuno occuparci delle splendide stele di Axum e dell’ultima foresta? È giusto incendiare i campi di papaveri?
La risposta – nessuno dubita fra chi mangia tre volte al giorno – è una sola. Ma non è risposta facile. La si trova in uno spazio, prima concettuale (apertura, solidarietà, collaborazione sociale e raziale) e poi politico (reale gigantrsco sforzo economico-operativo per rimettere in piedi terzo e quarto mondo). Salvare Axum, continuando a innalzare sempre più robuste barriere – di nuove si vorrebbero anche in Italia – per difendere il benessere acquisito, non è operazione incongrua e ancora una volta coloniale?

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”