Sulla via del profumo e delle spezie Viaggio in Israele

Archeologia Viva n. 31 – luglio/agosto 1992
pp. 10-22

di Judith Lange

Nel deserto del Negev da sempre luogo di transito e di contatti commerciali tra il Mediterraneo e l’Arabia la nostra inviata ha cercato i segni dei Nabatei, fiero e libero popolo nomade

Essi costruirono la prosperità sul commercio delle spezie, indispensabili nella medicina nella cosmesi e nei rituali del mondo antico

Scrive lo storico e geografo Diodoro Siculo (I sec. a.C.) – il primo attendibile testimone dell’esistenza dei Nabatei anche se vi sono cenni nella Geografia di Strabone e nell’Antichità di Flavio Giuseppe – basandosi sui testi degli autori Uranius e Glaucus, chiamati “Arabica“: «Questa terra è situata fra la Siria e l’Egitto […]; le regioni orientali sono abitate dagli Arabi, in questo caso chiamati Nabatei; stanziatisi su una terra desertica e secca […] vivono una vita di brigantaggio e vagano nei territori vicini, li saccheggiano, poiché difficili da vincere in battaglia. Infatti nelle regioni secche posseggono pozzi profondi a intervalli stabiliti e, celandoli agli altri popoli, riescono sempre a ritirarsi in questa regione, esenti da ogni pericolo. Per questo gli Arabi lì residenti […] rimangono sempre liberi; infatti non accettano mai che un uomo di altra nazione sia loro dominatore […]. Nella terra dei Nabatei esiste una montagna molto massiccia, con un solo accesso; usando questa salita vi salgono in breve tempo, mantenendo così salve le loro proprietà».

Qui Diodoro Siculo accenna a Petra, in Giordania, che per molto tempo fu capitale dei Nabatei col nome di Raqmu, prima di venir trasformata all’epoca di Traiano in quella monumentale fortezza di cui conosciamo le spettacolari rovine.

Più avanti Diodoro Siculo accenna a un’altra importante caratteristica dei Nabatei, affermando che essi «… non seminano e non piantano alberi di frutta, non bevono vino e non costruiscono case.

Ognuno che tradisce queste regole di vita è condannato a morte». Questo passo rivela la loro natura nomade, il loro assoluto dominio del deserto e i quattro tabù che costituivano il loro sistema politico-sociale.

Strano e oscuro destino quello dei Nabatei; ricchi e potenti, nomadi che soltanto nell’ultimo periodo della loro esistenza (di appena quattro secoli) si adattarono alla sedentarietà.

Liberi perché ottimi combattenti – ma anche capaci diplomatici che elargivano alti tributi ai sempre nuovi invasori per comprare la loro libertà – spariscono dalla storia alla fine del II sec. d.C. senza lasciare testimonianze scritte, anche se conosciamo le loro dinastie attraverso qualche tavoletta incisa in aramaico, la più importante delle quali fu trovata ad Elusa da T.E. Lawrence, il famoso “Lawrence d’Arabia”.

Vi si fa riferimento  a un re, definito «tiranno», dal nome Aretas, del 168 a.C. In seguito, soltanto monete e papiri in lingua greca e araba del VII sec. d.C. (testi letterari, ma anche libri paga e documenti giuridici), trovati a Nizzana dicono come era costituita la dinastia dei re.
La loro stessa lingua, che nella forma scritta fu l’aramaico, è un mistero e con fatica, negli ultimi tempi, si è riusciti a filtrare dai pochi frammenti scritti degli “arabismi” propriamente nabatei. […]