Per conservare i “campi di pali” Archeologia subacquea

Archeologia Viva n. 26 – gennaio/febbraio 1992
p. 71

di Luigi Fozzati

Un incontro a Sirmione sul lago di Garda ha ribadito la necessità di normative per il restauro e la conservazione dei reperti lignei

Tipologia di reperti che sempre più spesso si rinvengono negli scavi lacustri e fluviali

Le aree umide d’acqua dolce sono notoriamente zone privilegiate per l’alta percentuale di reperti biotici conservati: si tratta di manufatti o più semplicemente di ecofatti. L’ambiente anaerobico è il responsabile di questa banca dati biologica e talora tecnologica: ne sono una testimonianza preziosa i depositi che caratterizzano gli abitati di tipo cosiddetto “palafitticolo”.

L’archeologia lacustre ha conseguentemente sviluppato una metodologia interdisciplinare che investe e coinvolge altre discipline: paleobotanica, dendrocronologia, dendrologia, paleolimnologia, palinologia, archeozoologia, idrobiologia, paleoclimatologia, geomorfologia.

La responsabilità dell’archeologo che opera nelle zone umide si è pertanto affinata nella promozione di un’accurata cooperazione in direzione delle discipline naturalistiche.

La preoccupazione di perdere dati scientifici per il mancato riconoscimento del reperto nel corso dello scavo o in fase di successiva vagliatura da un lato, la necessità di campionare prima del decadimento fisico del reperto dall’altro lato, hanno determinato una spiccata attenzione per il dato a scapito della sopravvivenza stessa del reperto biotico. […]