Archeologia Viva n. 42 – novembre/dicembre 1993
pp. 26-33
di Massimo Becattini e Luisella Bernardini
Memoria del passato e modello didattico d’arte documento di conservazione e strumento critico, il calco di gesso ha accompagnato la storia della produzione artistica diffondendone la conoscenza
Eccone la vicenda poco nota e non ancora conclusa…
Il calco di gesso è noto fin dall’antichità e si suppone che se ne servissero anche gli scultori romani per riprodurre calchi di capolavori greci da utilizzare nella realizzazione delle copie. La vera fortuna di questa tecnica comincia però nel Rinascimento, prima con l’uso didattico e ausiliario che ne fecero gli artisti, poi come forma d’arte autonoma, coltivata da grandi e piccoli collezionisti allo scopo di possedere le copie o le imitazioni di celebri opere antiche.
Verso la metà del XVI secolo trarre calchi in gesso da originali scultorei era impresa estremamente complessa e dispendiosa, col XVII e XVIII secolo tale pratica divenne comune. Fin dall’epoca dell’impresa del Primaticcio – che tra il 1540 e il 1543 aveva procurato a Francesco I re di Francia non meno di 125 calchi di statue antiche, cavandone poi le repliche in bronzo per la residenza reale di Fontainebleau – ci si rivolgeva soprattutto alla statuaria antica greca e romana (o considerata tale) come modello insuperabile di bellezza e armonia.
In tal senso Roma era il centro degli interessi dei collezionisti e degli antiquari, sia per il continuo succedersi, dal XVI secolo in poi, di eclatanti scoperte di statue, rilievi e quant’altro affiorava dalle non sempre sistematiche “campagne” di scavo, sia per il contemporaneo formarsi di cospicue collezioni di scultura, prime fra tutte quelle dei Farnese, dei Medici, dei Borghese e dei Ludovisi. […]