“Acque pulite” Archeologia Subacquea

Archeologia Viva n. 41 – settembre/ottobre 1993
pp. 68-69

di Luigi Fozzati

Il pentimento di un grande imprenditore fa sperare che un giorno si riesca a sapere quanto è stato nascosto dall’omertà dei fondali

Nel paludato mondo dell’archeologia, dove i ritmi di coinvolgimento pubblico sono di straordinaria lentezza, fuori dal tempo, perennemente legati a una società ideale e in accelerazione quasi esclusivamente sotto l’impulso irrazionale degli umori collettivi (come dimostrò l’abusato esempio dei Bronzi di Riace), può dunque apparire strano l’insorgere di un fenomeno nuovo.

Teatro di questa novità è l’archeologia subacquea nazionale, dove si sta verificando uno spontaneo effetto “Mani pulite”. I lettori di Archeologia Viva si chiederanno giustamente in cosa consiste la novità; ebbene, la novità sostanziale è molto semplice. Da quando l’uomo ha cominciato ad operare sott’acqua con mezzi sempre più sofisticati e quindi altamente distruttivi – parliamo degli ultimi cinquant’anni – il patrimonio archeologico sommerso è stato sottoposto ad una continua emorragia, a un autentico incontrollato massacro. Il problema è anche un altro: non sarà possibile conoscere se non in misura molto approssimativa – o addirittura più o meno arbitraria – la quantità dei beni sommersi andati irrimediabilmente distrutta. È la conseguenza di un’autentica guerra subacquea combattuta nelle acque di mari, laghi e fiumi tra l’uomo tecnologico e il mondo naturale.

È qui che compare fortunatamente un fenomeno nuovo, che si accompagna mirabilmente alla voglia di cambiamento che il Paese ha manifestato apertamente: chi sa, perché ha visto, parla. Non è fantasia, è la realtà: qualche giorno fa si è presentato negli uffici dello Stas a Sirmione – grazie alla collaborazione di Maria Adelaide Binaghi, responsabile per l’archeologia subacquea della Soprintendenza Archeologica della Lombardia – uno dei maggiori imprenditori italiani che operano nelle acque nazionali e internazionali…

Per anni ha realizzato condotte subacqueee, fatto brillare cariche esplosive, rigirato metri quadrati  e metri quadrati di fondale con tecniche sempre più all’avanguardia, come un avvenieristico bulldozer operante interamente sott’acqua; per anni ha assistito alla distruzione di relitti, carichi, strutture, interi siti; per anni ha cercato di porsi interrogativi morali sulla liceità o meno della violazione dell’acqua come archivio di storia; per anni ha visto correre sconosciuti a raccogliere i reperti: qualche giorno fa, ha detto basta. Si è presentato negli abiti del “pentito” grazie alla grande sensibilizzazione dell’opinione pubblica che lo Stas ha realizzato in sette anni di attività in collaborazione con le soprintendenze più attente e lungimiranti. […]