Archeologia Viva n. 41 – settembre/ottobre 1993
pp. 54-60
di Odino Grubessi e Stelio Martini
Formatosi con i cocci di migliaia di anfore olearie che dalla Spagna giungevano alla capitale il Monte Testaccio costituisce una straordinaria miniera di dati per la storia economica dell’impero romano
Ecco i primi importanti risultati di un progetto di ricerca italo-spagnolo
Dopo oltre un secolo di silenzio, il Monte Testaccio, a Roma, ha ripreso a parlare per merito degli sforzi congiunti di studiosi italiani e spagnoli. Quella che, fino agli inizi del Novecento, era la più misteriosa delle colline di Roma ha ripreso a comunicare notizie sui luoghi di produzione e di consumo, e sul commercio dei prodotti alimentari ai tempi di Augusto e dei suoi successori.
La più misteriosa, data la sua imprecisa natura, e la più eccentrica perché per vari secoli fu luogo preferito dai romani per i loro violenti riti carnevaleschi. Ma utile, anche nel passato, perché se ne poteva trarre materiale per rassodare il suolo delle fangose strade vicine o per costruirvi, scavando al suo interno, eccellenti cantine dalla temperatura giusta e costante. Storicamente nessun rilievo: un monte di cocci appunto, fino a quando l’archeologo tedesco Heinrich Dressel cominciò a frugare la collina in una fredda mattina del 1872.
I reperti del Monte Testaccio
Si deve alle pazienti ricerche di Dressel, peraltro condotte solo in superficie, e alle sue scoperte circa la natura, la provenienza, l’età e il significato dei frammenti di anfore, ciò che poi è divenuta conoscenza comune intorno al Monte. È stato Dressel infatti il primo a suggerire, con alcune prove di fatto, la provenienza, sia pure generica, delle anfore dalla Spagna; a rilevarne e descriverne la forma; a raggrupparle secondo alcuni tipi (da cui il nome Dressel 20 e Dressel 23); ad abbozzare per la prima volta le coordinate temporali della formazione del monte; a scoprire e valorizzare la presenza sulle anfore, oltre che dei bolli, che si trovano anche in altri siti archeologici, di numerose iscrizioni dipinte, che viceversa sono una caratteristica e un privilegio dei reperti del Monte Testaccio, perché altrove l’azione del tempo e degli agenti atmosferici le hanno cancellate.
Gli studi intorno al Monte Testaccio
Alla fine del suo lavoro l’archeologo tedesco poteva senza modestia affermare che «dagli umili e negletti cocci di Monte Testaccio è partita una nuova luce» e la scienza poteva trarre dai suoi studi «un profitto non spregevole». Tanto è vera questa affermazione che ha certamente contribuito al lungo sonno degli studi intorno al Monte Testaccio: sembrava infatti che, dopo quanto Dressel aveva affermato, non ci fosse più nulla o quasi nulla da dire. […]