Archeologia di un vulcano Pompei e dintorni

Archeologia Viva n. 39 – giugno 1993
pp. 24-29

di Antonio Pecoraro

Mentre sempre maggiori dettagli consentono di ricostruire la dinamica della catastrofe abbattutasi sul golfo di Napoli in quel tremendo 79 d.C., altre più antiche eruzioni vengono identificate e correlate alla presenza dell’uomo nell’area vesuviana

Violente eruzioni hanno plasmato nei millenni l’interna Campania, pur se gli antichi ignoravano quanto dietro nel tempo si spingessero quelle precedenti il 79 d.C. Vitruvio, basandosi sulla tradizione, riferisce che si aveva consapevolezza di una remota attività vulcanica; anche Strabone non sa essere più preciso, mentre Diodoro si limita a evocare eventi eruttivi assai lontani, lasciando tuttavia intravedere come il toponimo “flegreo”, cioè ardente, fosse stato imposto all’area dominata dal Vesuvio dai primi colonizzatori greci quando il vulcano era ancora attivo.

Il termine “flegreo”, infatti, nella Calcide come a Cuma, fa riferimento agli sconvolgimenti tellurici che contrassegnarono la lotta di Eracle e degli Dei contro i Giganti; ed è verosimile che siano stati proprio i coloni dell’Eubea, appena approdati a Ischia, a localizzare il mito della gigantomachia nella dirimpettaia e fumigante pianura campana, tappa di Ulisse verso le terre dei Ciclopi e dei Lestrigoni e poi sede delle porte dell’Ade.

Ad ogni buon conto, i navigatori egei, cui erano consuete le Eolie e le coste della Campania, ebbero forse occasione di aggiungere alla memoria della catastrofe di Thera, attinta dal vivido racconto degli Argonauti, anche quella dell’eruzione di tipo pliniano detta “di Avellino”, che nell’inoltrata prima età del Bronzo aveva posto fine alla facies culturale di Palma Campania.

Quest’ultimo evento, spesso confuso con quello che seppellì Pompei, è stato accuratamente descritto solo trent’anni fa, pur se erroneamente datato intorno al XII sec. a.C. principalmente sulla scorta di un vaso d’impasto rinvenuto in una cava di Visciano. Ma, come fa osservare Claude Albore Livadie, direttore di ricerca del CNRS presso il Centro Jean Bérard, l’errata datazione si fondava sulle osservazioni di Rittman che nella Valle del Sarno aveva segnalato, sotto le tombe di San Marzano, un’antica eruzione del Somma-Vesuvio per cui, essendo quelle tombe ritenute a torto del XII-XI secolo a.C., l’eruzione doveva risalire, più o meno, allo stesso periodo. In realtà le pomici di Avellino furono eruttate tra il 1703 e il 1617 a.C., come suggeriscono le indagini al C14 condotte da studiosi canadesi. […]