A nord-est qualcosa di nuovo Archeologia subacquea

Archeologia Viva n. 38 – maggio 1993
p. 74

di Luigi Fozzati

In Friuli Venezia Giulia e Veneto si opera per dare alla ricerca subacquea il ruolo che le compete nel rapporto fra uomo e territorio

Le scoperte archeologiche sono un po’ come la posa della prima pietra: tutto può esaurirsi nello scoop della notizia o nel sopralluogo che produce certificazione scientifica sull’esistenza di un qualcosa che prima non c’era. A questo punto la pratica è chiusa: l’archivio, sornione e complice, si richiude quasi senza speranza su qualunque scoperta come la storia dei Bronzi di Riace potrebbe insegnare. Le scoperte abbandonate non rinviano necessariamente alla sempre conclamata carenza di fondi: molto spesso le cause sono altre. Non a caso Francesco Sisinni, direttore generale del Ministero per i Beni Culturali, ha esplicitamente richiamato i propri tecnici a una programmazione doppiamente pianificata: i tempi di intervento e la valenza territoriale.

In una moderna società questi due fattori rientrano nella norma e l’archeologia non può non adeguarsi: la complessità del villaggio globale, il progresso della ricerca scientifica e la necessità di una tutela del contesto ambientale impongono oggi un profilo nuovo per la professione dell’archeologo, spesso ancora legato a una dimensione fuori luogo o ancorato a ruoli del tutto inadeguati  anche dal punto di vista burocratico-istituzionale. La necessità di un rinnovamento profondo nella pratica dell’archeologia italiana riguarda ovviamente anche l’archeologia subacquea, dove la voglia di scoop nasconde troppo spesso la semplice necessità di far esistere questo nuovo settore. […]