Il mistero di Santa Gilla Sardegna punica

Archeologia Viva n. 37 – aprile 1993
pp. 26-40

di Paolo Bernardini, Vincenzo Santoni e Emanuela Solinas

Nella laguna vicino Cagliari è nota da cent’anni la presenza di reperti fittili che giacciono nel basso fondale sotto una spessa coltre di fango
Dopo decenni di stasi sono finalmente ripresi gli scavi allo scopo di accertare la vera consistenza e identità di un deposito archeologico per certi versi ancora misterioso

La città di Cagliari, che si protende sul mare costeggiando l’omonimo golfo, è delimitata a oriente e a occidente da due vaste aree umide: lo stagno di Molentargius e la laguna di Santa Gilla.
Se il primo è conosciuto da numerosi naturalisti per le rare specie ornitologiche che vi stanziano, la seconda è nota agli studiosi di antichità puniche per l’eccezionalità delle testimonianze archeologiche che i suoi fondali custodiscono.

I primi ritrovamenti, del tutto occasionali, risalgono al 1869, quando uno dei pescatori della laguna recuperò fra le maglie della sua rete una testa muliebre in terracotta.  La consistenza dei ritrovamenti successivi portò l’allora direttore del Regio Commissariato ai Musei e agli Scavi, Filippo Vivanet, a organizzare nel 1891 una campagna di scavo che, interrotta per l’avvicinarsi della stagione fredda, proseguì nell’estate del 1892 per completare il recupero dei tanti reperti individuati.

Si trattava di oggetti prevalentemente fittili, che in seguito ad una analisi mineralogica si rivelarono «confezionati coi fanghi alluvionali della stessa laguna», come scriveva il 15 luglio 1893 Vivanet nella relazione alle «Notizie dagli Scavi di Antichità comunicate alla R. Accademia dei Lincei». Durante i lavori furono recuperate numerose «maschere umane» o riproducenti «le sembianze di Giove, Esculapio, Apolline o di altre divinità maggiori», accompagnate da mani, piedi, protomi di cani, coccodrilli, “draghi” e pantere, e ancora oggetti di uso quotidiano come pentole, brocche, ciotole o «lampade a due becchi». […]