Archeologia degli abissi Archeologia subacquea

Archeologia Viva n. 36 – marzo 1993
pp. 66-68

di Marco D’Agostino

I mezzi tecnici rendono oggi possibile l’esplorazione subacquea degli alti fondali con la possibilità di più avvincenti scoperte

L’archeologia subacquea è una disciplina relativamente giovane. La sua nascita e la sua evoluzione sono indissolubilmente legate all’invenzione dell’autorespiratore ad aria avvenuta subito dopo il secondo conflitto mondiale ad opera di Cousteau e Gagnan. L’archeologia delle acque si è quindi sviluppata grazie allo studio dei siti localizzati in gran parte a bassa profondità (da 0 a 50 m), in quanto di immediata individuazione e senza i relativi problemi di intervento, presenti invece a batimetrie maggiori.

Per una serie di motivi tuttavia, questi siti non garantiscono una preservazione ottimale dei contesti più consistenti. Innanzitutto la dinamica delle correnti nei bassi fondali non ha certo contribuito alla loro conservazione indisturbata: generalmente i relitti si presentano smembrati su una vasta superficie o, nella migliore delle ipotesi, ne è stata tutelata la relativa integrità grazie al peso dei contenitori da trasporto o di armi pesanti. A ciò va aggiunta l’azione aggressiva della teredo navalis che si fa maggiormente sentire ove questi litofagi riescono meglio a prosperare, cioè in acque dalla temperatura più mite. Un altro fattore negativo per i contesti archeologici in basso fondale è costituito dall’elemento antropico che, grazie all’enorme diffusione degli sport subacquei, sta comportando enormi problemi per la tutela dei siti più conosciuti e accessibili. […]