Amarcord… un po’ di cronaca un po’ di storia Le origini dell'archeologia subacquea in Italia

Archeologia Viva n. 45 – maggio/giugno 1994
pp. 36-43

di Alessandro Olschki

Un pioniere della ricerca subacquea racconta le esperienze sul campo
Dalle prime avventure alla scelta di avvicinare i relitti con metodo scientifico fino all’incontro con Lamboglia e alle questioni ancora aperte su opportunità e metodi di intervento

Definire un contorno netto fra storia e cronaca è difficile proprio come colmare il passaggio a vuoto che, più o meno, sempre si ripropone fra due momenti della nostra vita civile creando una soluzione di continuità nella documentazione del divenire dei fatti e delle conoscenze dell’uomo. Nel settore dell’archeologia subacquea non è più cronaca, e non è ancora storia, il periodo iniziale della prospezione scientifica che si può datare negli anni Cinquanta, essenzialmente per merito di Nino Lamboglia creatore del centro sperimentale di Archeologia Sottomarina presso l’Istituto di Studi Liguri di Bordighera.

Nell’immediato Dopoguerra iniziò, in Italia, l’età subacquea. Nel 1944, auspice un sommozzatore dei mezzi d’assalto della Marina, sperimentai all’Elba, per la prima volta, il miracolo della maschera che squarcia il velo della visione subacquea, quel diaframma che per millenni aveva gelosamente celato e protetto il più grande museo archeologico del mondo: il fondo del mare.

Abituato, fin da ragazzo, ad andare sott’acqua per intravedere il fondo, sempre indistinto, con gli occhi perennemente arrossati dal sale, la magia della maschera fu un vero e proprio colpo di fulmine perché consentiva di vedere tutto, perfettamente a fuoco, proprio come avveniva per la – peraltro laboriosa – visione attraverso lo “specchio” dei pescatori di polpi: la mia vita fu condizionata in modo determinante da quel breve e fortuito incontro.

Prima la caccia, anche a livello agonistico, che non mi è stata certamente avara di soddisfazioni, poi la ricerca archeologica e biologica, la documentazione, l’organizzazione di impegnative spedizioni scientifiche in tutti i mari del mondo, sotto l’egida del Gruppo Ricerche Scientifiche e Tecniche Subacquee di Firenze, hanno impegnato una buona metà della mia esistenza realizzando il massimo profitto, anche a livello di acquisizione di conoscenze, nell’utilizzazione del tempo libero. I casuali ritrovamenti effettuati dai pescatori con le reti – basti citare, fra tutti, il famoso “Apollo di Piombino” – erano soltanto un’episodica documentazione delle immense ricchezze di storia che giacevano sui fondali dei nostri mari.

Con l’avvento dell’autorespiratore non vi fu subacqueo che non venisse affascinato da un frammento d’anfora, dal ceppo di un’ancora, da tutte le vestigia del passato e l’entusiasmo della scoperta, con la soddisfazione di poter così facilmente arricchire la dotazione dei soprammobili di casa propria, ben di rado lasciava il posto a una più attenta prospezione e a una relazione alle competenti strutture scientifiche. Il danno fu esteso e consistente.

Purtroppo questa estesa situazione di fatto, che le autorità si ritrovarono totalmente impreparate a fronteggiare, fu anche aggravata dalla mancanza di specifiche norme di legge sui recuperi subacquei, con la pratica impossibilità di incentivare in qualsiasi modo l’«onestà» dei rinvenitori. […]