L’archeologia è un diritto? Archeologia e diritto

Archeologia Viva n. 43 – gennaio/febbraio 1994
p. 83

di Stefano Benini

Il sistema accentratore dello Stato ha fatto il suo tempo e l’aspirazione dei singoli a partecipare allo studio delle civiltà e alla tutela dei beni che ne sono testimonianza merita ampio riconoscimento

L’archeologia non è più prerogativa di pochi specialisti, ma va di buon diritto riconosciuta come uno dei principali interessi culturali coltivati dal grande pubblico. Lo dimostrano il proliferare dei gruppi archeologici, la diffusione delle riviste specializzate, la frequentazione dei musei anche nei giri del turismo interno, il successo delle mostre.
Durante la seduta del 24 giugno 1989 della Commissione Cultura della Camera, Francesco Sisinni, direttore generale del Ministero dei Beni culturali, ebbe a sottolineare una vera e propria «esplosione di interesse – del grande pubblico – per i beni culturali e ambientali». E non vi è dubbio che l’attrazione maggiore sia rappresentata dall’archeologia. Un tempo era il retaggio romantico del mistero, dell’avventura, della ricerca di tesori perduti che affascinava il pubblico. E probabilmente questo è il connotato che caratterizza – ancora oggi – la valutazione diffusa della materia archeologica, pur se negli ambienti più sensibili e informatisi fa strada la consapevolezza della necessaria scientificità della disciplina, nell’ambito degli studi storici.

Non manca, purtroppo, una componente antiquaria del fenomeno, alimentata dalla ratificazione edonistica dell’oggetto antico, quella che induce la ricerca abusiva e il mercato clandestino.
Del boom dell’archeologia non sembra si sia preso coscienza a livello istituzionale. La materia è ancora regolata dalla legge n. 1089 del 1939 che, parallelamente alla coeva legge n. 1497 sulla tutela del paesaggio, è divenuta insufficiente e ideologicamente inadeguata a causa dei grandi mutamenti della società italiana negli ultimi cinquant’anni. […]