L’attimo fuggente di Roma antica L'archeologia nell'obiettivo

Archeologia Viva n. 43 – gennaio/febbraio 1994
pp. 62-75

Roberto De Romanis e Lorenzo Abbamondi

Dopo i viaggiatori del grand tour e gli artisti del paesaggio furono i fotografi di archeologia a occuparsi delle millenarie e possenti rovine di Roma a partire dalla metà del secolo scorso
L’affascinante tematica è ora oggetto di un eccezionale libro fotografico di cui Archeologia Viva presenta alcuni passi significativi

“In nessun’altra parte della terra è tanto presa dalla malinconia quanto ai piedi dell’antica Roma, che tra le rovine dei secoli sorge bella e triste, Nemesi mutilata della storia, stringendo nella mano il volume su cui sono scritti i destini dei popoli”
Ferdinando Gregorovius

Una Roma mutilata, rovinosa e sviscerata, è quella che appare davanti agli occhi del viaggiatore straniera negli ultimi decenni dello scorso secolo. Ogni visitatore coglie come la città, dalle supposte forme eterne e immutabili, stia ineluttabilmente cambiando stato: forse vorrebbe proprio mutare la sua vecchia pelle screpolata, ma architetti e urbanisti interessati, politici e nobili affaristi, riescono solo a occultare le sue rughe dolorose, inflittele dagli uomini e dal tempo, con improbabili belletti, e con ingombranti vestiti dal taglio moderno che le cuciono addosso per fare in fretta di lei una nuova capitale della nuova Italia unita.

Europei e americani la solcano senza tregua seguendo i tracciati indicati dalle guide e dai resoconti di altri viaggiatori famosi: la Guida di Roma e il Viaggio in Italia, con una ampia sezione dedicata a Roma, erano modelli di incontrastato successo nei rispettivi generi. È in questo caput mundi che tutti gli stranieri coronano il loro gran tour; è qui che arrivano emozionati per verificare le leggende apprese dai classici, per riconoscere ciò che non hanno mai visto ma di cui hanno sognato osservando acquarelli, incisioni, e i primi dagherrotipi. I loro occhi, delusi esterrefatti affascinati costernati, registrano l’agonia di un mito, o almeno di una delle sue forme più note, e la nascita faticosa di una incerta metropoli moderna che cerca di prendere vita – come Roma aveva già fatto tante altre volte nel suo passato – sulle spoglie della città che l’ha preceduta.

Nei loro appunti di viaggio, compilati con la penna o raccolti in preziosissimi album di foto proprie o altrui, Roma diventa allora metafora dai significati mutevoli, vitalistici o mortuari, terreno dove si riverbera il clamore dell’eterno conflitto tra le forze della Natura e i fantasmi della Cultura: babilonia, caos, confusione, sudiciume; affastellamento di stili, di umori, di odori; grembo della storia che partorisce ogni giorno cadaveri e tesori; perpetuo esperimento di genetica urbanistica dove, per innestare e puntellare le fondamenta del nuovo, si scava tra le macerie sempre più invadenti del vecchio. Un vecchio, un antico che misteriosamente continua a rigenerarsi sottoterra, nel ventre slabbrato della città, che è continuamente rivoltato dagli archeologi e dagli operai delle ditte di costruzioni, studiosi e massacratori che lavorano spesso fianco a fianco. […]