Archeologia Viva n. 11 – maggio/giugno 1990
pp. 66-70
di Giovanni Caselli
Cronaca di un’allucinante passeggiata sull’Appia Antica “regina delle vie” fra degrado materiale e morale alla ricerca del passato e di una labile speranza di ripristino
Porta San Sebastiano rigurgita di autobus, automobili e autocarri secondo gli intervalli determinati dal semaforo.
Ogni volta che la fiumana si sofferma rombante e sfumicante, uno sciame di africani, di polacchi e zingari, si riversa sulle macchine a pulir vetri, a vender salviette, giornali.
Tutti d’altronde dobbiamo vivere… Il diabolico flusso proviene da quel budello che è Via di Porta San Sebastiano, fiancheggiata dagli alti muri che celano misteriosi giardini, malinconici angoli verdi decorati da statue scapezzate, sepolcri di Scipioni e di martiri.
Ma gli alti parati non riescono a bloccare il boato conflagrante dei pneumatici sui pietrini di porfido dell’antica Via Appia.
Si giunge così a quella che è la Via Appia Antica ufficiale, quella di generazioni di turisti, che da Porta San Sebastiano conduce verso la chiesetta del Quo Vadis e dopo diversi chilometri, a Le Frattocchie.
Qui il traffico va nelle due direzioni, da qui rigurgita verso Porta San Sebastiano, dalla quale non può entrare, perciò si divide in due, lambendo le mura aureliane; mentre la marea provenente da Porta San Sebastiano si infila quasi tutta nel “budello”, verso il Quo Vadis.
Il viaggiatore è ora davvero costretto rasentare il muso come una lucertola, senza tirare il respiro per non morire asfissiato, fino al minuscolo slargo di acceso al ristorante “Er Montarozzo”.
Quindi passa sotto il terrificante viadotto Marco Polo, con i suoi piloni di cemento che sembrano crescere come un malefico fungo fra le rovine di tombe e mausolei, coperte di erbacce e spazzatura. […]