Ricordo del Sinai Viaggi di Archeologia Viva

Archeologia Viva n. 12 – luglio/agosto 1990
p. 77

di Piero Pruneti

Giorno di Pasqua 1990. Aggrappati a un fuoristrada stiamo percorrendo la pista che da Abu Zenima, sul Golfo di Suez, punta dritto verso il cuore del Sinai.

L’incorreggibile autista arabo tenta una gara fra le dune con le altre macchine del gruppo, ma la spinta si esaurisce presto sulle sabbie dell’immenso wadi che risaliamo.
Ecco, alla fine, il campo beduino.

Sembra che ci aspettino; comunque ci fanno una grande festa perché qualche mese fa erano passati di lì Alberto Siliotti, coordinatore dei nostri viaggi, e Ezz Ahmed Salem, la nostra guida egiziana, per studiare l’itinerario.

Inizia da qui il sentiero che sale a Serabit el-Khadem, al tempio di Hathor, “ignora del turchese”, e alla cappella rupestre di Sopdu, “signore del deserto orientale” e “sovrano delle terre straniere”.

Un’ora di marcia con un abbondante scorta d’acqua e il solitario complesso culturale è davanti a noi, sulla cima di una spettacolare balconata di roccia, nel silenzio totale del deserto. È ormai la fine del viaggio. Ieri i Viaggiatori di “Archeologia Viva” hanno toccato la cima del Gebel Musa, il monte di Mosè, a 2285 metri.

Prima ancora c’è stata la visita al Monastero di Santa Caterina, “lì è così” dal V secolo… Delle cose viste nei giorni precedenti c’è chi ha perso il conto, ma su tutte domina il ricordo di Tanis, la capitale nel Delta, la fascinosa città dove abitarono i faraoni del tramonto, dai nomi poco noti ai non addetti – Psousenné, Sheshonq… –, i lotta contro una decadenza irreversibile.

E prima di Tanis chi dimenticherà la calda accoglienza dei monaci nel monastero copto di Wadi el-Natrum, fra Il Cairo e Alessandro, chiuso ancora, come nei primissimi secoli del cristianesimo, fra alte mura di terra cruda fatte per sbarrare il passo al deserto e ai predoni.

Il viaggio è terminato. Riportiamo a casa l’esperienza di un Egitto “trasversale”, sconosciuto ai più, lontano dalla vita che si concentra nella valle del grande Nilo, lontano dal turismo che alimentiamo e che tuttavia vogliamo fuggire.