Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 14 – novembre/dicembre 1990

di Piero Pruneti

Per i tipi de “Il Pensiero Scientifico Editore” vede la luce in Itala una raccolta di studi sulla collezione di arte antica che Sigmund Freud custodì nel suo studio, prima Vienna e poi a Londra. L’argomento ci è sembrato di eccezionale importanza e lo presentiamo in un lungo articolo, consigliando senz’altro i nostri lettori di approfondire la tematica  sul volume appena uscito.

Freud si servì costantemente della metafora archeologica come principale strumento per la comprensione della psicoanalisi. Utilizzò il linguaggio archeologico per strutturare il suo concetto della psiche. Anzi si può dire concepì la stessa psicoanalisi come una forma di archeologia.

Sentite cosa si legge nel suo Frammento di un’analisi di isteria, del 1905: «Di fronte all’incompiutezza dei miei risultati analitici non mi restava che seguire l’esempio di quei ricercatori che hanno la ventura di portare alla luce, dalla loro lunga sepoltura, mutilate, ma non per questo meno preziose, reliquie dell’antichità. Ho fatto cioè delle aggiunte a ciò che risultava incompleto secondo i modelli migliori da me noti da altre analisi, ma, come archeologo coscienzioso, non ho trascurato di indicare in ogni caso dove la mia ricostruzione veniva ad apportarsi alla parte autentica».

Meglio ancora il Nostro si esprimeva in Costruzioni delle analisi, l’altro saggio fondamentale scritto nel 1937: «Come l’archeologo ricostruisce i muri dell’edificio dai ruderi che si sono conservati, determina il numero e la posizione delle colonne dalle cavità del terreno, e ristabilisce le decorazioni e i dipinti murali di un tempio dai resti ritrovati fra le rovine, così procede l’analista quando trae le sue conclusioni dai frammenti di ricordi, dalle associazioni e dalle attive manifestazioni dell’analizzato».

Ma penso che soprattutto un’immagine riesca a farci capire quanto il concetto stesso di archeologia abbia contribuito alla nascita della nuova scienza: Freud meditò e scrisse su una scrivania invasa di reperti e quando per riflettere alzò la testa – per migliaia o milioni di volte nella vita – gli occhi si posarono sempre su quelle amate statuette che affollavano il tavolo, e anche la sua mente.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”