Incontro con Giorgio Ieranò La voce della storia

Incontro con Giorgio Ieranò

Archeologia Viva n. 174 – novembre/dicembre 2015
pp. 72-74

Intervista di Giulia e Piero Pruneti

«Noi europei figli della Grecia? L’idea appartiene alla retorica classicistica»

«I romani si appropriarono della cultura greca con una perfetta operazione di imperialismo»

«Per i greci l’amore non era una pulsione individuale ma una forza divina irresistibile»

«Si sentivano superiori: il mondo si divideva tra loro e i “barbari”»

«Quella volta che Ulisse trova la moglie a letto  con uno dei Proci e li sgozza tutti e due…»

La civiltà dell’Ellade, per secoli protagonista nel Mediterraneo e oltre, molto complessa, tanta luce e tante ombre, splendida e al tempo stesso terribile, spietata, come del resto sono sempre stati gli uomini e come narra la grande mitologia greca che la Vita – con la “V” maiuscola perché riguarda tutto quanto esiste, esseri umani e dei, ma anche piante, animali, sorgenti, montagne, antri, fondali marini… – ha saputo interpretare in un complesso cosmico intimamente connesso di rappresentazione.

È questo il gran mare della “conoscenza” in cui quotidianamente s’immerge Giorgio Ieranò, docente di Storia del Teatro antico e Letteratura greca all’Università di Trento, con una capacità tutta particolare di comunicare l’esito dei suoi studi scrivendo libri “divertenti”, nel senso che sono piacevolissimi da leggere pur costituendo opere di alta cultura. Ieranò è anche responsabile scientifico del Laboratorio di ricerche sul teatro antico “Dionysos” (www.dionysos.lett.unitn.it) e del Seminario “Mario Untersteiner” di Rovereto.

Tra le pubblicazioni più recenti ricordiamo Arianna. Storia di un mito (Carocci 2007) e La tragedia greca. Origini, storia, rinascite (ed. Salerno 2010). Per l’editore Sonzogno ha pubblicato tre volumi di narrazioni mitologiche: Olympos (2011), Eroi (2013) e, di recente, Gli eroi della guerra di Troia. Elena, Ulisse, Achille e gli altri (2015).

D: Debiti e problemi finanziari fanno passare l’immagine di una Grecia degenere nella “grande famiglia” europea, che a sua volta si dice figlia dell’antica cultura dell’Ellade. Insomma, chi ha degenerato: la madre o la figlia? 

R: Temo che l’idea stessa per cui noi europei siamo “figli” della Grecia appartenga alla retorica classicistica. Una retorica che a volte ha dato frutti splendidi ma che è ormai superata. Noi ci siamo sempre rispecchiati nei greci, ma siamo anche sempre stati molto diversi. La democrazia, la filosofia, il teatro: sono cose che abbiamo imparato da loro, ma che abbiamo anche realizzato in maniera differente.

Il nostro regime parlamentare ha poco a che fare con la democrazia diretta della polis greca, così come il teatro di Pirandello è lontano anni luce da quello di Eschilo. Teniamo anche presente che, a volte, i peggiori crimini si sono compiuti proprio all’ombra di questa retorica classicistica. Uno che amava molto la civiltà greca e ammirava Pericle, per intendersi, era Adolf Hitler.

D: Quando parliamo di civiltà greca, pensiamo subito ad Atene, magari al tempo di Pericle. Quanto è giusta o sbagliata questa semplificazione?

R: È sbagliatissima. Il mondo greco, geograficamente e cronologicamente, presenta facce molto diverse. La civiltà greca è Atene. Ma è anche Sparta, Alessandria d’Egitto, Antiochia, Siracusa, Marsiglia, per non parlare di Bisanzio. La cultura greca arriva fino ai confini dell’India, sull’onda delle armate di Alessandro Magno. Civiltà greca è anche quella del Gandhara, che si sviluppò nella zona dell’odierna Peshawar, tra Pakistan e Afghanistan.

Qui i greci influenzano l’iconografia e la dottrina del buddhismo. Il Milindapanha, ovvero “I detti di Milinda”, uno dei testi chiave del canone buddhista, è affidato alla voce di un re che in realtà si chiamava Menandro. Anche questa è un’eredità non secondaria della cultura greca. […]